Israele, con il Piano Trump tramonta il sogno di uno Stato palestinese

Israele. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha illustrato il suo piano di soluzione del problema palestinese. La proposta è stata formalizzata a Washington mediante una dichiarazione congiunta con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. In precedenza i contenuti del piano erano stati anticipati al generale Benny Gantz. Questi è l’avversario di Netanyahu alle prossime elezioni politiche del 2 marzo. Netanyahu andrà poi in volo a Mosca. Scopo: aggiornare il presidente Vladimir Putin sul piano stesso.

I rappresentanti palestinesi, ancorché invitati, non hanno voluto partecipare alla cerimonia. Né il loro, leader Abu Mazen ha accettato contatti telefonici con la Casa Bianca. I loro rapporti con l’attuale amministrazione statunitense, infatti, non sono mai stati idilliaci. Contestano il trasferimento unilaterale dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Nè approvano la dichiarazione di Trump secondo cui gli insediamenti ebraici nei territori occupati nel lontano 1967 non sarebbero necessariamente “illegali”. Così hanno perso l’ennesima occasione per esporre la loro situazione sui palcoscenici che contano.

Va premesso che il Piano Trump non è un piano di pace. Per il semplice motivo che l’Autorità Nazionale Palestinese non è formalmente una parte in guerra con Israele. I territori occupati da quest’ultima dopo la guerra del 1967, infatti, facevano parte di Egitto e Giordania. Con questi, Israele ha stipulato la pace rispettivamente nel 1979 e nel 1993. La presente proposta, quindi, è relativa all’assetto futuro della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme.

Si va verso la costituzione di una “Grande Israele”

Il grande architetto del Piano Trump è il suo genero, Jared Kushner, di fede ebraica. Essa comprende una parte politica ed una economica.

La parte politica consente ad Israele l’annessione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Questi sono già in gran parte circondati da un lungo muro difensivo. Si conferma l’annessione israeliana della città di Gerusalemme. Si concede, però, alla Palestina di erigere a capitale del futuro Stato alcuni sobborghi di Gerusalemme Est. Al nuovo Stato palestinese, almeno inizialmente, sarà concessa una “sovranità limitata”. Non avrà infatti la possibilità di formare un esercito o negoziare o di stipulare accordi internazionali. Inoltre, Israele controllerà la sponda sinistra del Giordano e i collegamenti terrestri con la Giordania.

La parte economica era stata già presentata nel giugno scorso durante una conferenza nel Bahrain. Ai palestinesi verrà accordato una specie di “Piano Marshall” da 50 miliardi di dollari. Trump prevede a carico Usa la realizzazione di un autostrada per il collegamento tra Gaza e la Cisgiordania.

Reazioni a Israele e tra i palestinesi al piano Trump

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il piano è stato formulato in modo che sia bocciato dai palestinesi. In effetti, ancorché una soluzione a due stati, la proposta Trump può essere definita: “Uno Stato, un protettorato”. Anche se lo stesso Trump dichiara che, con la sua accettazione, il nuovo stato palestinese potrà essere riconosciuto dagli Stati Uniti.

Il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen ha appositamente convocato un tavolo a Ramallah. Ha invitato anche le due organizzazioni di Hamas e della Jihad islamica, considerate terroristiche da Israele e dagli Usa. Chiaramente, il piano è stato bocciato. D’altronde, l’ANP aveva già rifiutato altri piani più favorevoli, in passato.

Mohammad Shtayyeh, capo dell’esecutivo di ANP, ha dichiarato che il Piano Trump «non costituisce una base per risolvere il conflitto». Esso violerebbe gli accordi internazionali. In particolare i cosiddetti Accordi di Oslo del 1993. In proposito il negoziatore palestinese Saeb Erakat ha già ipotizzato il ritiro dagli accordi di Oslo. Il piano, infatti, sarebbe «un tentativo di distruggere la soluzione dei due Stati».

Cosa dispongono gli Accordi di Oslo tra Israele e Olp

In realtà gli accordi di Oslo affermavano soltanto il diritto palestinese all’autogoverno, attraverso la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese. A seguito di essi, Israele provvide al ritiro delle proprie forze armate da alcune aree di Gaza e della Cisgiordania. Da nessuna parte era scritto che il nuovo Stato dovesse coincidere con i territori lasciati dalla Giordania e dall’Egitto a Israele.

Assieme ai principi, le due parti firmarono un patto di mutuo riconoscimento. Il governo israeliano riconobbe l’OLP come legittimo rappresentante del popolo palestinese. Questo riconosceva il diritto a esistere dello Stato di Israele. Rinunciava inoltre all’intento di distruggerlo, al terrorismo e alla violenza. Al fine di rendere effettiva la proclamazione dello Stato palestinese gli accordi prevedevano un’intesa tra Israele e la costituenda Autorità Nazionale. Per questo Netanyahu ha subito precisato che il presente piano costituisce solo una base di accordo e non un’imposizione.

Il ruolo di Hamas

L’organizzazione terroristica Hamas non ha mai riconosciuto gli accordi di Oslo. Ha costituito una specie di mini-stato a Gaza non permettendo nemmeno all’Autorità di accedere. Gaza, pertanto, costituisce un territorio non collegato territorialmente al resto della Palestina. Solo Erdogan, sul piano internazionale, appoggia Hamas. Alle azioni intraprese da Hamas verso Israele, questa ha risposto con rappresaglie. L’ONU e le organizzazioni islamiche hanno più volte condannato tali atti di rappresaglia. Più che altro, per nascondere il proprio disinteresse sulla questione.

In realtà il futuro dei palestinesi di Gaza e della Cisgiordania non interessa a nessuno. I paesi arabi “moderati” fanno affari con gli Stati Uniti. Hanno da tempo delegato Washington a risolvere la situazione. Gli accordi del 1979, del 1993 e il summit fallito del 2000 sono stati tutti effettuati sotto l’egida Usa. All’Iran interessa solo l’aspetto “settentrionale” della questione medio orientale. Cioè, garantire uno sbocco mediterraneo alla sua produzione petrolifera e di gas naturale.

In Siria, però, con la presenza russa, Teheran si trova in una scomoda posizione. Per questo a Netanyahu interessa anche l’appoggio di Putin. Rimane solo la Turchia, interessata alla situazione di Gaza. Ma il suo presidente è il leader attualmente più screditato a livello internazionale.

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