Islam tra fede religiosa e jihadismo

IslamDi fronte al reiterarsi degli attentati terroristici di matrice islamica nelle capitali europee, risuonano ancora una volta come profetiche le parole di Oriana Fallaci nella sua intervista a se stessa del 2004: «Continua la fandonia dell’Islam moderato, la commedia della tolleranza, la bugia dell’integrazione, la farsa del pluriculturalismo. Il nemico non è affatto un’esigua minoranza. E ce l’abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d’occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all’occidentale, e perfettamente inserito nel nostro sistema sociale».

Aveva davvero ragione la Fallaci o le sue parole rispecchiano soltanto l’indignazione emotiva di una combattente per la libertà e i diritti umani, da sottoporre ad un’analisi più ragionata? L’opinionista laico non può farsi coinvolgere in un giudizio religioso su una fede o una dottrina e, pertanto, l’unico criterio valido per dare una risposta è quello di analizzare le istituzioni politiche degli Stati dove i musulmani sono una componente fondamentale o essenziale e capire se e come l’islamismo sia compatibile con la vita di una società civile del ventunesimo secolo. Dopo di ciò è possibile fare una riflessione sull’entroterra culturale delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica.

Se andiamo ad analizzare il mondo islamico, la situazione, infatti, è più variegata di quella rappresentata dalla Fallaci. I paesi integralisti sono quelli dove l’autorità politica e l’autorità religiosa si immedesimano e cioè dove la legge del corano (Sharia) è applicata in pieno, sia per le questioni private che per le procedure penali. E’ bene elencarli questi Stati: sono l’Arabia Saudita, il Qatar, alcuni degli Emirati Arabi, lo Yemen, l’Iran, alcune regioni della Malaysia e della Nigeria, la Somalia (almeno dove esiste un’autorità politica), il Sudan, la Mauritania e, in gran parte, ancora in Afghanistan, in Iraq e nel Pakistan.

Tra essi vi sono gli Stati più ricchi. Quelli, cioè, che l’occidente finanzia abbondantemente in cambio dell’approvvigionamento delle risorse energetiche di cui ha bisogno (gas e petrolio). Taluni di questi paesi sono stati definiti “moderati”, per coprire con una veste di falso moralismo le politiche economiche dell’occidente ma è una “fandonia”, proprio come dice la Fallaci.

Vi è, poi, un gruppo di paesi dove la sharia si applica solo nelle questioni private, come, ad esempio, il matrimonio, il divorzio, l’eredità e la custodia dei figli. Sono i rimanenti Emirati, l’Oman, il Kuwait, il Bahrein, la Palestina, la Siria, la Giordania, il Bangladesh, l’Egitto, la Libia, l’Algeria, il Marocco, l’Eritrea, il Ghana, il Gambia e, limitatamente ai rapporti tra gli appartenenti alla religione islamica, anche in Libano, in Etiopia, in Kenya, in Tanzania, in alcune aree dell’India, dell’Indonesia e delle Filippine.

Anche se l’autorità politica di questo gruppo di paesi è indipendente da quella religiosa (e, quindi, non possiamo considerarli integralisti), le materie regolate dal diritto islamico investono i diritti umani, in particolare quelli della donna, che è posta in posizione subordinata all’uomo. Ma, anche in questo caso, l’importanza strategica ed economica di taluni paesi ha fatto sì che le democrazie occidentali chiudessero un occhio, se non tutti e due. Sarebbe bastato che il loro ingresso all’ONU fosse stato subordinato all’accettazione incondizionata della “Dichiarazione dei diritti umani” e tali paesi (come quelli del gruppo precedente, d’altronde) sarebbe rimasto fuori dalla comunità mondiale. La logica del capitale, che non sempre coincide con la nobiltà degli ideali di democrazia, tuttavia, ha prevalso.

C’è, infine, un terzo gruppo di paesi, a maggioranza o con forti componenti musulmane, dove il diritto islamico non si applica e, considerato ciò, possiamo rispondere a Oriana Fallaci che l’Islam moderato esiste. Stiamo parlando della Turchia e degli Stati europei di Bosnia ed Albania, delle repubbliche ex-sovietiche a maggioranza musulmana (Azerbaigian, Kazakhstan, Turkmenistan, Kirgistan, Uzbekistan, Tagikistan), della Tunisia e delle ex colonie francesi al di sotto della fascia del Maghreb: Mali, Niger, Ciad, Centrafrica, Senegal, Burkina Faso, Camerun, Guinea, Costa d’Avorio e Gabon.

L’integralismo islamico, quindi, non è presente dappertutto, ma solo dove la componente etnico-culturale araba e lo sciismo (Iran) sono forti. Guarda caso, però, ciò coincide, in gran parte, con la posizione di paese esportatore di gas e petrolio. Negli altri paesi è singolare che, mentre la colonizzazione francese ha prodotto la laicizzazione delle istituzioni che gli sono succedute, quella britannica ci è passata sopra (Gambia, Ghana, Kenya, Tanzania, ecc.). E’ un caso che il capitalismo sia nato in Gran Bretagna e che le multinazionali del petrolio sono in gran parte anglosassoni? Chissà.

Veniamo ai movimenti terroristici. Rappresentano tutto l’Islam? No di certo; ma chi li finanzia? Sicuramente i paesi più ricchi. E, qui, il gatto si morde la coda: abbiamo riempito di petrodollari i paesi produttori, soprassedendo sul problema dei diritti umani senza capire nemmeno lontanamente quali sarebbero state le conseguenze.

Oltre a Daesh e ad Al Qaeda, abbiamo veramente il nemico dentro casa, come ha detto la Fallaci, dopo aver allestito “la commedia della tolleranza, la bugia dell’integrazione, la farsa del pluriculturalismo”? Si e no.

Se esaminiamo le componenti etniche degli islamici residenti nel continente europeo, infatti, ci rendiamo conto che, in taluni Stati, quelli provenienti dai paesi islamici da noi individuati come “moderati” sono la maggioranza: i turchi in Germania, in Olanda e nello stesso Belgio; in Italia e in Spagna, la componente musulmana dell’immigrazione è complessivamente minoritaria, con all’interno numerosi “moderati” (gli albanesi, i tunisini e i senegalesi); in Francia, al 30% degli stranieri provenienti dal Maghreb, si contrappone un 15% circa di turchi e di africani sub maghrebini e un 34% di europei; nel Regno Unito, la situazione è molto differenziata ma gli islamici, soprattutto quelli provenienti dai paesi integralisti, non prevalgono.

Diversamente da quanto profetizzato dalla Fallaci, quindi, la ricetta della tolleranza e dell’integrazione ha un fondamento e sta, in gran parte, funzionando. Alcuni elementi di evoluzione in senso democratico dell’Islam integralista, dopo lo scivolone all’indietro della rivoluzione islamica in Iran del 1978 (favorita dall’Unione Sovietica), si possono, comunque, intravedere. In primis: la laicizzazione della Tunisia; l’affievolimento dell’applicazione della Sharia in Afghanistan, in Iraq e i Pakistan; il voto femminile in taluni paesi dove, sino a pochi anni fa, ciò sembrava impensabile.

Abbandonare la logica del capitale e battersi per i diritti umani è, a nostro parere, la strada giusta per sconfiggere anche il terrorismo.

di Federico Bardanzellu 

Fonte foto: wikipedia

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