Intervista a Yari Selvetella, finalista Premio Strega 2018

Yari Selvetella, romano, scrittore e giornalista, nel 1994 vince il premio Grinzane Cavour per la giovane critica promosso da La Repubblica.

Esordisce con libri di argomento musicale. Suoi la prima biografia di Rino Gaetano e un saggio su La scena ska italiana (Il levare che porta via la testa).

Si è a lungo occupato di storia della criminalità romana, tema di cui è considerato uno dei maggiori esperti grazie a Roma Criminale (scritto con Cristiano Armati) del 2005, prima opera di non-fiction che ripercorre un secolo di cronaca nera della capitale , e ai successivi Banditi, Criminali e Fuorilegge di Roma e Roma, l’impero del crimine, che anticipava il tema della diffusione delle mafie a Roma.

È autore di romanzi tra cui Male e Peggio, Uccidere Ancora, la cui trama è liberamente ispirata al Massacro del Circeo e La banda Tevere.

Ha pubblicato un libro di poesie dal titolo La maschera dei gladiatori, a cura di Davide Rondoni.

Giornalista professionista, è stato autore e conduttore della trasmissione radiofonica Uomini e Camion. È collaboratore fisso della trasmissione televisiva Unomattina – il Caffè di Rai Uno. È tra i dodici finalisti del Premio Strega 2018 con il romanzo Le stanze dell’addio, un libro che racconta la perdita della persona amata.

Chi è Yari Selvetella?

Non riesco a rispondere a questa domanda in terza persona; mi viene meglio se mi domandi: chi sei tu? Anzi non ci riesco nemmeno così. Diciamo che ho scritto qualche libro e di recente uno, che si intitola “Le stanze dell’addio”. Scrivendo questo libro, in un certo senso, ho cercato di rispondere alla tua domanda.

Scrittori si nasce o si diventa?

Il talento esiste, ma non bisogna mitizzarlo. Anche perché non è sufficiente in una nessuna attività e tanto meno nella scrittura. Scrittori si diventa, anzitutto leggendo.

Finalista al Premio Strega 2018 con il libro Le stanze dell’addio, un romanzo commovente sulla perdita della persona amata. Quanto c’è di te in questo libro?

Al protagonista di questo libro, capita, come è successo a me, di perdere una persona molto cara a causa di una malattia. La letteratura può servire anche a inventare ciò che ci è davvero capitato e, diciamo pure magicamente, questa traslazione non rende una storia meno autentica.

Già vincitore del premio giovani Grinzane Cavour, oggi sei tra i dodici finalisti (molti dei quali giovani ed outsider, quest’anno) dello Strega, il più ambito riconoscimento letterario in Italia. Che effetto fa?

Ovviamente mi fa molto piacere essere nella dozzina dei candidati allo Strega. Anzitutto mi lusinga essere stato scelto. Poi lo Strega è forse l’unico premio che conoscono anche i non lettori, cioè molti dei miei conoscenti. Per molti lettori, poi, essere candidato allo Strega è un buon motivo per scegliere un libro e questa idea di arrivare a molte persone mi emoziona e mi gratifica.

Ti sei occupato di storia della criminalità, sei giornalista e conduttore radiofonico nonché autore televisivo. Che cosa vuoi fare da grande?

Sono già grande e se ho fatto tutto questo è un po’ per necessità, un po’ per vocazione. Quando ero piccolo, mi innamoravo di tutto. Credo che continuerò così, anche se prima o poi mi piacerebbe avere qualche mese da poter dedicare solo alla scrittura.

Quali sono stati i tuoi fari culturali?

La mia generazione, quella dei quarantenni, ha tentato di inseguire padri e fratelli maggiori, ma loro sono stati per lo più dei grandi celebratori della propria incauta giovinezza e poi della loro acquisita saggezza, ma spesso assai poco generosi con i più giovani.  Mentre cercavamo di scimmiottare chi ha vent’anni più di noi, loro erano lì tra un ripensamento ideologico e una crisi di mezza età, quindi paradossalmente i nostri “fari”, se capisco bene quello che intendi, sono stati un po’ gli stessi che hanno avuto loro. Da Gramsci a Pasolini, ecco.

Chi sono gli scrittori contemporanei che apprezzi di più?

No, scusa, per quanto riguarda gli scrittori italiani non posso rispondere, per lo stesso motivo per cui non metto quasi mai ringraziamenti nei miei libri: temo di dimenticare qualcuno tra i tanti che conosco e che mi sono amici. Invito a leggere molto le scrittrici italiane: negli ultimi anni mi sembra che molte delle voci interessanti della letteratura italiana siano voci femminili. Lo dicono tutti, lo so. Lo dico anche io. Vorrei, in generale, che i libri avessero il tempo di respirare, per poter essere capiti anche qualche anno dopo la loro pubblicazione. Invece spesso c’è un grande vuoto tra i classici e le ultime uscite del trimestre. I libri più invisibili sono quelli usciti qualche anno fa e che tentano con somma difficoltà di incontrare qualche nuovo lettore, prima del compattatore. Tra gli stranieri, per l’ultimo giro di uscite consiglio “Questo ero io” di Curtis Dawkins.

So che sei intensamente tifoso giallorosso, vero?

Sì, vero. Intensamente. Si è romanisti solo intensamente. Il cosiddetto “calcio moderno” è sempre meno credibile e fatico a mantenere lo stupore e l’entusiasmo che avevo da ragazzino, ma quando inizia la partita fingo che tutto questo non esista. E tifo Roma.

Che cosa porteresti con te su un eremo?

Ma si possono portar cose in un eremo? In questo eremo accogliente, se potessi portare con me qualcosa, porterei ovviamente un libro, perché non credo che mi troverei troppo bene in un eremo, ma grazie a un libro puoi sempre essere altrove, sempre essere libero.

info: Le stanze dell’addio

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