In viaggio verso Giuda

Maximilian Nisi

Giuda Iscariota è il traditore di Gesù. Di questo siamo tutti a conoscenza. Ma chi era veramente quest’uomo e perché ha tradito? Di sicuro, le nebbie in cui sono avvolte la sua vita e la sua personalità, le sue scelte e la sua fine non smettono di affascinare.

Oggi incontro chi ha deciso di misurarsi con questa figura, dandogli una storia ed una voce teatrale: Raffaella Bonsignori, autrice del testo Giuda, Maximilian Nisi, che, in prima nazionale, lo porterà in scena il 13 e il 14 agosto al teatro Gassman di Borgio Verezzi nell’ambito del 54° Festival del Teatro diretto da Stefano Delfino, e il maestro Stefano De Meo, che ha realizzato le musiche originali.

Come è nata l’idea di una pièce teatrale su Giuda?

M – In teatro sono stato Gesù, Giovanni Battista, Francesco d’Assisi; un giorno ho cominciato a desiderare di dar voce ad un “cattivo” biblico e, avendo già vestito i panni de Il Caprone di Zerbinotto e di Mefistofele, mi è sembrato che Giuda, il traditore, potesse essere la scelta più stimolante. È un personaggio misterioso, ancora oggi molto dibattuto, che mi ha sempre affascinato. Due anni fa il caso ho voluto ch’io conoscessi Raffaella Bonsignori e al termine di un’intervista mi è venuto spontaneo chiederle se avesse voluto scrivere per me un monologo su di lui.

R – La domanda più importante l’ha fatta lui a me ad intervista finita. Ho detto di sì ancor prima di capire in quale ginepraio stessi per cacciarmi. Scrivere per il teatro non è cosa da niente. Chi, come me, è abituato a scrivere romanzi o saggi deve abbandonare la descrizione e inserirla nel dialogo.

M – Ero sicuro che mi avrebbe risposto di sì. Raffaella è una donna sensibile, una scrittrice capace e un’anima curiosa con quel pizzico di follia che fa tanto bene al teatro.

R – Non a caso Maximilian mi ha dato un soprannome che amo molto, assolutamente suo: Matto

Matto? Al maschile?

R – Sì. Il Fool shakespeariano, come quello del Re Lear. È l’essere più libero della terra, quello che può dire tutto ciò che pensa nell’esatto momento in cui lo pensa. Lo adoro.

M – E Raffaella è un Matto in piena regola. Difficile tenerla a bada e non farle dire ciò che vuole dire.

Raffaella, ho l’impressione che Maximilian si stia riferendo a qualcosa in particolare.

R – Sono portata a crederlo anche io. Abbiamo lavorato insieme e non sono mancate occasioni per ridere, scherzare, approfondire argomenti storici e teologici, confrontarci sulla nostra spiritualità, ma ci siamo anche accapigliati spesso! Accade, tra autori ed attori; c’è da dire, però, che persino le litigate sono state un arricchimento reciproco. Da un lavoro così intenso è nata una splendida amicizia.

Raffaella Bonsignori, autrice del testo Giuda

M – È fumantina!

R – Senti chi parla!

M – Cercare di individuare il linguaggio che potesse esser giusto per entrambi, senza tradire un personaggio storico e importante come quello di Giuda, credo sia stato formativo sia per me, sia per lei. Ne è scaturito un monologo che cela un dialogo: quello di Giuda con la storia e con il tempo, che segna il confine tra vita e morte, tra mondo del corpo e mondo dell’anima.

R – Devo molto a Maximilian e non solo perché ha creduto in me e nel mio lavoro, ma perché mi ha dato preziosi consigli: abbiamo fatto un magnifico labor limae su tutti i miei testi.

Tutti i tuoi testi? C’è più di un Giuda?

R – Decine. Dialogo a due voci, a tre, monologo … Le uniche cose certe, sin dall’inizio, sono state il luogo e il personaggio. Il mio Giuda doveva stare nell’aldilà ad espiare la sua pena. Il ciclo, lo spazio onirico in cui Giuda si trova, la notte perenne sono le classiche conseguenze joyciane del monologo interiore. Mi piaceva inquadrarlo in questo contesto. Su queste poche certezze ho lavorato in diverse direzioni. Per il resto, ho lasciato che Giuda sgorgasse dalla mia anima. Confrontarmi con il cattivo per eccellenza è stata un’esperienza molto bella e molto complessa; forse persino pericolosa. Nietzsche diceva che a guardare a lungo nell’abisso, si rischia che l’abisso guardi dentro di noi. Sicuramente, oggi che sono entrata in confidenza con Giuda, con il suo modo di essere un colpevole innocente, mi sento in parte cambiata. Solo la passionalità non si è modificata: intensa quanto la sua. Ho sempre amato senza riserve e ho sempre messo l’amore davanti a tutto, come il mio Giuda.

M – Anche se lui non sa amare veramente.

R – Ma non è vero!

M – È un uomo coraggioso, idealista ma con un grosso limite: è innamorato soprattutto di se stesso.

R – Ama sua madre, la sua patria, le donne e ama Gesù …

Se aspettate un attimo vado a prendere i pop-corn e mi metto comoda. Non pensavo di assistere ad uno spettacolo, oggi. Siete fantastici!

M – Sostiene di averlo amato ma ha fallito. L’anima di Giuda è dannata perché è indefinita, confusa, narcisista, incapace di elevarsi verso valori più alti di quelli umani. È dannata perché è ancora intrappolata nel suo corpo, è incapace di comprendere e soffre terribilmente soprattutto per se stessa, per non esser stata capita e per ciò che ritiene che la vita avrebbe dovuto dargli e non le ha dato.

R – Giuda è un uomo, non è e non può essere Dio. Nessun può comprendere davvero il modo di amare di Dio. Amiamo da uomini, con i nostri limiti. È Dio stesso che ci ha creati così. Il vero tradimento, nei suoi confronti, sarebbe non comportarci da uomini.

M – Non si può amare per ricevere amore. L’amore non è un do ut des, è un sentimento.

R – Ognuno ama a modo proprio. Giuda è Giuda. È capace di sentimenti profondi che lo seguono in eterno nell’aldilà, ma vuole anche sentirsi amato e soffre nel non esserlo … Sin da quando ha accettato i trenta denari, si trova nell’occhio del suo personale ciclone fatto di pentimento, di sensi di colpa, di rabbia nei confronti di Dio, che lui non capisce e dal quale non si sente capito. La scelta di tradire un uomo in grado di salvarsi con un miracolo avrebbe anche potuto essere un modo per spronarlo a rivelarsi a tutti e diventare finalmente il re dei Giudei come meritava di essere, aiutandolo suo malgrado a compiere il proprio destino  … Non è come tradire un amico inerme. Giuda, per me, è un colpevole innocente.

M – No. È un peccatore addolorato, ma non pentito. È un colpevole che si sente innocente. Tradisce Gesù e poi si pente e uccidendosi raddoppia addirittura la sua colpa. Un uomo che vende il suo amico ed è causa della sua morte, rimane, a parer mio, imperdonabile. Il libero arbitrio esiste. Liberi almeno di scegliere ciò che non va fatto. È una sensibilissima anima nera che non sa amare.

E Maximilian Nisi come ama?

M – Non in modo ossessivo e possessivo come Giuda. Io amo per liberare la mia anima, per arricchirla, e questo finora mi è bastato. È capitato a volte che amando non sia stato ricambiato, ma il valore di quell’amore è rimasto inalterato e ho sempre ringraziato chi, suo malgrado, avesse fatto nascere in me quel sentimento.

Per il momento ho solo letto il testo, ma devo dire che la dichiarazione d’amore di Giuda per le donne è da brivido …

R – Quelle parole piacciono molto anche a me. Mi sono uscite dall’anima. Ho sempre pensato che la perfetta dichiarazione d’amore fosse quella di Steven Tyler degli Aerosmith, quando canta I don’t want miss a thing.

Ti piace vincere facile …

R – Sì, lo so, Steven Tyler è meraviglioso, la sua voce è sensuale e quella musica è travolgente. Ma, da scrittrice, mi concentro molto anche sulle parole. L’uomo di quella canzone dice che vorrebbe rimanere sveglio solo per sentire respirare la sua donna, che potrebbe rimanere perso in quel momento per sempre, che non vuole chiudere gli occhi perché lei gli mancherebbe, si chiede cosa stia sognando e non vuole perdersi niente di lei. Ecco, il mio Giuda ama nello stesso modo, anche se si intuisce che il suo è un amore infelice, irrealizzato, un desiderio che sconfina nell’idea totalitaria e pregnante di ciò che non si ha. Interpretato da Maximilian e musicato da Stefano De Meo, poi, è un amore con la A maiuscola. Tutta la musica di Giuda è eccezionale. Ha connotazioni che richiamano l’impressionismo. È stata un’idea registica davvero felice, quella di musicare quasi tutto il monologo, a parte i brevi tratti di un silenzio necessario.

Il Maestro Stefano De Meo

M – Quelle di Stefano De Meo sono suggestioni musicali. Hanno una grande forza evocativa. Note fragili, morbide e, improvvisamente, gravi: un eccentrico viaggio tra i suoni della natura, del mondo e i temi emotivi del personaggio. Ci siamo visti più volte tutti e tre, io, Stefano e Raffaella, per provare voce, testo e musica. Stefano è un artista che sa cogliere qualunque sfumatura e la traduce in melodia.

R – Lavorare al loro fianco è stato magnifico: tra Maximilian e Stefano esiste un feeling particolare, si capiscono al volo. Maximilian è anche musicista e, dunque, il loro dialogo musicale è ricchissimo.

Sono curiosa, ragazzi! Dopo averlo letto, non vedo l’ora di vedere Giuda interpretato da Maximilian Nisi e musicato da Stefano De Meo.

R – Il testo che ho pubblicato con Amazon in questi giorni differisce in qualcosa da quello che Maximilian porterà in scena. I tempi teatrali, soprattutto per un monologo, devono essere necessariamente più stretti, e l’anima di chi sale sul palcoscenico deve emergere e personalizzare alcuni aspetti: ciò che va in scena è un concerto di personalità che va rispettato.

M – E nel concerto, oltre a me, a Raffaella e a Stefano, ci sono anche Marino Lagorio, con le sue immagini evocative e Tiziana Gagliardi, che ha curato i costumi. Il teatro è un lavoro corale. È un privilegio poter lavorare con loro in un momento in cui il teatro ha bisogno di tutta la nostra cura e il nostro amore.

Nel testo pubblicato ci sono due finali alternativi. Qual è quello che andrà in scena?

R – Nessuno dei due. L’alternativa che offro è un finale a cui sono molto affezionata. Non mi andava di lasciarlo nel cassetto. In scena, invece, andrà un terzo finale. Io e Maximilian abbiamo scelto di sposare due differenti versioni tra le tante scritte in questi due anni, ma è una differenza che richiama più la sfumatura che la tinta. Peraltro, Maximilian ha voluto inserire due battute del finale alternativo, creando una bella suggestione. E qui mi fermo. Niente spoiler.

Il tuo Giuda è quasi un ritorno ad un teatro intimista, dove l’uomo è messo a nudo in modo poetico e forte. Si può dire che sembra un uomo molto moderno?

R – Per me lo è di sicuro. C’è un po’ di Giuda in ognuno di noi. Secondo me, teatro significa anche illuminare un microcosmo, uno spaccato di vita, e far viaggiare lo spettatore nell’anima del personaggio. Io ho cercato di fare questo, trasportando il pubblico da Giuda, ma anche Giuda dal pubblico. È spesso fuori dagli schemi, rispetto ai suoi tempi. E, poi, si pone come il mostro per eccellenza, quello che fa sentire innocenti tutti gli altri: i colpevoli perfetti fanno spesso comodo e, al giorno d’oggi, ne individuiamo sempre molti.

Ecco, parliamo di colpevoli perfetti. Quanto della tua professione di avvocato penalista c’è nel tuo Giuda?

R – Tantissimo. Del resto, parliamo spesso di teatro processuale. Giuda è carnefice e vittima al contempo. È inevitabile che l’avvocato che ho dentro abbia fatto capolino. Il messaggio fondamentale che ho voluto dare è che non c’è mai un colpevole assoluto, un mostro che sia solo mostro. Tutti dovremmo imparare a guardare negli occhi chi ha sbagliato, punire, se necessario, ma senza impedirgli di sperare.

Maestro De Meo, lei è pianista, arrangiatore e compositore, è autore di musical, musiche originali, arrangiamenti per la televisione e per il teatro. Come nascono le musiche di un dramma o di una commedia?

S – Le musiche di scena nascono dagli stimoli e dalle suggestioni che il regista mi suggerisce. Dopo la lettura del testo comincio il lavoro in piena libertà; più riesco ad esprimere le mie idee, più la sintonia con il regista diventa totale. Nel caso di Giuda, l’intesa con Maximilian, tra i maggiori interpreti di oggi del teatro italiano, come sempre è stata perfetta.

Giuda è un tema particolare. Che percorso ha seguito per raggiungere questo personaggio nel suo aldilà?

S – È vero. Il bellissimo testo di Raffaella è particolarmente intrigante e, allo stesso tempo, impegnativo, dato che la musica procede in interazione con la drammaturgia in maniera continuativa, senza soluzione di continuità. Le suggestioni alternano temi minimali con elementi metallici, graffiati, asciutti, in contrasto con motivi melodici e rarefatti. I diversi stati d’animo del personaggio, a volte, si fondono e si inseguono tra loro attraverso la commistione e l’opposizione dei diversi temi musicali.

Maximilian, il tuo lavoro è il teatro vero, non quello processuale di Raffaella. E lo è da più di trent’anni, sin dai tuoi esordi con Giorgio Strehler. Cosa significa il palcoscenico, per te?

M – È la mia vita. Non saprei e non vorrei far altro. È la migliore delle terapie. È un’ottima compagnia. È studio, immaginazione, divertimento. È un lavoro che, malgrado i tempi di profondo oscurantismo, sento ancora utile e necessario, sia socialmente che umanamente.

Hai fatto anche televisione e cinema. Ti ricordo ad esempio in Incantesimo, nel Bello delle donne, nella Dottoressa Giò. Preferisci il teatro o la recitazione cinematografica e televisiva?

M – Il teatro dipende soprattutto da te. Il prodotto televisivo e quello cinematografico sono quasi sempre il compromesso del lavoro di molte persone. Oltre alla recitazione ci sono le luci, il doppiaggio, il montaggio… Capita spesso che quello che viene mandato in onda o proiettato sia molto lontano dal tuo gusto o da una tua idea iniziale. Quindi ti posso rispondere con certezza che il teatro è la mia prima scelta. Ho fatto molta televisione, è vero, il cinema è rimasto un sogno in un cassetto lasciato aperto, anche se mi capita sempre più raramente di vedere film italiani di cui vorrei far parte

Ti abbiamo visto recentemente in Un Autunno di Fuoco, e ne Il piacere dell’onestà con la regia di Liliana Cavani. Oltre a Giuda, cosa bolle in pentola nel tuo futuro teatrale?

M – In questo periodo non vedo pentole. Continuerò a studiare e a far teatro. Dove, come e con chi me lo dirà il tempo. Non è un bel momento. Il teatro è fatto di scambio, di condivisione, di contatto. E il Covid19 questo non lo permette, lo aborrisce. È come amare qualcuno senza poterlo vedere, senza poterlo toccare. È una sensazione terrificante.

Maestro De Meo, la sua attività artistica è molto intensa. Oltre a Giuda ci sono altri progetti che sta portando avanti? E cosa la attende in futuro?

S – Sono impegnato, nelle vesti di esecutore e compositore, insieme a Pasquale Laino, in uno spettacolo dedicato ad Amelia Rosselli, Il Folle Volo, scritto da Ulderico Pesce e interpretato dalla straordinaria Maria Letizia Gorga. Per la televisione sto preparando, insieme al mio collega Pino Iodice, le musiche di un nuovo programma RAI e, parallelamente, continua il mio lavoro di arrangiatore presso StudioB di Iodice.

Qual è il suo sogno nel cassetto?

S – Beh, lo devo ammettere: ho scritto molto per il teatro e, a parte le musiche per un paio di cortometraggi e la partecipazione come arrangiatore nel film Youth di Sorrentino, non ho mai composto per il cinema. Chissà, forse un giorno …

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È ora di lasciare gli artisti al loro viaggio verso Giuda, in attesa di applaudirli a Borgio Verezzi a metà agosto e a Roma in autunno.

Giuda è imperdonabile? Io dico che, sicuramente, è imperdibile. Leggetelo e andatelo a vedere e non ne rimarrete delusi.

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