In una società ricca di iniziative, suoni e rumori spesso non c’è il tempo di ascoltare e dialogare

rumori-molestiMa Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui solo” (Gv 6, 15). La solitudine di Gesù deve essere la nota caratterizzante della nostra preghiera perchè è proprio nel silenzio esteriore, ma soprattutto in quello interiore, che ciascuno di noi, come Gesù, riesce a percepire il richiamo di Dio che parla alla propria vita.

 

È necessario, quindi, fare silenzio fuori e dentro di noi, se vogliamo percepire la voce di Dio ma anche quella di coloro che ci vivono accanto. Viviamo, infatti, in una società che ci riempie di iniziative, di suoni e di rumori e spesso non c’è neanche il tempo di ascoltare e dialogare. Il Signore ci chiede di fermarci e, convocandoci attorno alla sua mensa, ci invita prima ad ascoltare la sua Parola e poi a nutrirci del suo corpo e del suo sangue.

 

Nel Vangelo di questa domenica (Gv 6,1-15), l’evangelista Giovanni, narrando il “segno” dei pani vuole sottolineare che Cristo, prima di distribuirli a quella moltitudine, li benedisse con una preghiera di ringraziamento (v.11). Il verbo che utilizza l’evangelista (“eucharistein”) rimanda direttamente al racconto dell’Ultima Cena, nel quale Giovanni, a differenza degli altri tre evangelisti, non narra l’istituzione dell’Eucaristia ma la lavanda dei piedi. Ma solo il nostro cuore sa come siamo davvero bisognosi di quel pane, anche se spesso ci accontentiamo soltanto del cibo materiale, quello che nutre il corpo, e ci rattristiamo se a volte non riusciamo ad ottenere quanto desideriamo. Il possesso e l’avere, carissimi, sono diventati l’ossessione dell’attuale società e senza dubbio sono la causa di tutti i nostri mali.

 

Il Vangelo di oggi però, ci rivela il segreto della nostra vita con Gesù. In quei giorni, la gente che lo seguiva era numerosa e Gesù chiede all’apostolo Filippo dove poter comprare il pane per sfamare tutta quella moltitudine. Filippo in realtà rappresenta tutti noi, è la nostra voce. Gesù perciò, chiede a noi come sfamare il bisogno dell’uomo, oggi debole, affaticato, povero, disorientato? La risposta di Filippo, quasi istintiva, è spesso come la nostra: il denaro, senza considerare che oggi, come allora, molti hanno pochissimo e pochi hanno moltissimo. Cos’erano quei cinque pani e quei due pesci per quella moltitudine di gente? Che cosa è ciò che ognuno di noi può offrire se consideriamo gli svariati bisogni di tanti nostri fratelli?

 

Ma il miracolo di Gesù, a favore dei nostri bisogni materiali e spirituali, potrebbe nuovamente rinnovarsi, se solo riuscissimo a mettere a disposizione con amore sincero quel poco che abbiamo, perché il donare crea unità, vince ogni forma di pessimismo, cambia il cuore e certamente rende migliore il mondo. E noi dal Signore, lo sappiamo, abbiamo ricevuto tanto. Vivere la nostra esistenza attraverso la logica del dono significherebbe arrestare quel circolo vizioso che ci abitua a tenere tutto per noi e ad aver paura di vivere con maggiore attenzione nei confronti di coloro che sono poco fortunati.

 

L’apostolo Paolo, nella seconda lettura di oggi (Ef 4,1-6), ci aiuta a comprendere in lungo e in largo il vero senso della vocazione cristiana che si realizza quando ciascuno di noi donandosi si rende segno della presenza e dell’amore di Dio: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto”. A questo punto, è il caso di esaminarci con sincerità e cercare di capire se viviamo la nostra quotidianità esercitando l’umiltà, la dolcezza, la magnanimità, l’amore, conservando l’unità e la pace. E se scoprissimo che non è così? O che tristezza! La primaria vocazione ad essere seguaci di Cristo sarebbe seriamente vilipesa.

 

Spesso, anche nelle nostre famiglie, purtroppo, infliggiamo senza pietà le ferite della divisione, esprimendo giudizi facili e distruttivi, seminando la zizzania dell’inimicizia e della prepotenza ed esercitando un individualismo che separa soltanto. Ma, stando alle parole di S. Paolo, non è l’unità l’unica grande vocazione a cui tutti, laici e consacrati, siamo stati chiamati? Abbiamo bisogno di riscoprire e di riassaporare il gusto dell’unità. Ritorniamo perciò all’Eucarestia domenicale, banchetto della fraternità universale che risana ogni genere di divisioni e ci riunisce in un solo popolo amato dal Signore, piccoli e grandi, vicini e lontani.

 

Ritorniamo all’Eucarestia quando ci sentiamo soli e lontani dagli altri, quando non sappiamo perdonare, quando non siamo in grado di regalare amicizia e simpatia. Alla mensa del Signore ci sarà la Parola di Dio che ci sostiene, ci incoraggia e ci insegna una saggezza che noi umani non conosciamo. Ecco perché è necessario ascoltare sempre di più la Parola di Dio per viverla più intensamente. Siamo qui, carissimi, come quella sera, siamo qui davanti a Gesù Eucarestia, immagine di quell’evangelica moltitudine, affamata di pane e di verità, radunata attorno al Signore. Certamente anche noi non abbiamo molto da offrire perché come quella folla siamo deboli e fragili. Tuttavia abbiamo una sola certezza: all’altare del Signore troviamo la giusta forza per crescere sani nella fede e per progettare il futuro della chiesa con speranza e maggiore entusiasmo.

 

Tutti, in fondo in fondo, abbiamo qualcosa da dare agli altri e a Dio, persino il nostro peccato, che Egli certamente accoglie benevolmente e che nel suo infinito amore, cancellandolo, sa trasformare in grazia. Quindi, con fede, chiediamo al Signore per intercessione della Beata Vergine Maria la grazia di essere tutti suoi veri discepoli, uniti, umili e buoni. Amen.

 

di Fra’ Frisina

 

Foto: d4bmarketing.it

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