Il videogioco: un mezzo per vivere una storia digitale in prima persona

Si discute da sempre su quanto siano o non siano violenti i videogiochi. Alla soglia del 2020 (siamo in piena “Blade Runner” in pratica”) ci guardiamo le punte dei piedi parlando del nulla. Sarebbe un po’ come discutere dell’appropriatezza dei film d’azione per un pubblico giovane: qualcuno l’hai mai fatto?
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Sarebbe l’ora di considerare il “media” videogioco come quello che effettivamente è: una storia digitale da vivere in prima persona. La sospensione dell’incredulità avviene al cinema esattamente come davanti a una play station, con buona pace di tutti quelli che “eh ma se lo comandi tu, poi ti viene voglia di rifarlo anche nella vita reale”. No, non funziona così il cervello. Quando si è immersi in una storia la nostra incredulità viene messa in pausa, facciamo un tacito accordo con il narratore che ci sta proponendo delle situazioni irreali (ma realistiche), accettandone lo svolgimento degli eventi e l’azione.
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Se così non fosse allora dovremmo pensare che, facciamo un esempio, guardare un film con temi omosessuali possa far venire voglia di diventarlo. Facciamo questo esempio proprio perchè estremo e legato alla “natura umana” immodificabile. Una persona è fatta in un certo modo non perchè glielo dica qualcun altro. I videogiochi funzionano allo stesso modo. Impersonificare un pirata non creerà orde di ragazzi che vanno a giro a infilzare amici con la spada. Giocare a GTA non crea ladri. Vestire i panni di Super Mario non vi fa diventare bravi a riparare tubi.
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Dobbiamo imparare ad accettare le “storie” (libri, film, videogiochi) come pura evasione dalla realtà e non come una estensione del reale. I problemi veri sono altri e si chiamano società, famiglia, scuola. Riordiniamo le priorità. Chi volesse approfondire l’argomento può dire la sua sulle pagine facebook di InLiberta e di Videogiocambo ovviamente!

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