Il piano B di Brexit

Come dicevamo ieri, la politica può sempre sorprendere e, al termine di una seduta molto accesa per la House of Commons – si sentiva addirittura vociare mentre i deputati parlavano – il governo di Theresa May, ha ottenuto la fiducia: “The noes have it! The noes have it!” vincono i no, come ha gridato lo speaker. 

325 voti contro 302. 

L’annuncio è stato accolto con esultanza dai Tory ma l’aula è rimasta composta, come c’era da aspettarsi. Sono britannici.

Incassata la fiducia, la May ha preso la parola, dando atto della vittoria senza enfasi e senza stigmatizzare la sconfitta di Corbyn, ed ha invitato tutti a mettere da parte gli interessi egoistici e lavorare insieme per rispettare la “solenne promessa fatta al popolo di questo paese di accompagnarlo fuori dall’Unione Europea.” Ed era seria, c’è da scommetterci: nessuna parola di quel discorso era stata scelta a caso, il Governo britannico si ritiene davvero incaricato del gravoso compito di  mantenere la scelta fatta dal suo popolo e accompagnarlo fuori dall’UE. E questa certezza rappresenta tutti i limiti della politica in genere e dei britannici in particolare.

Bisogna tornare alle elezioni del 2015 per comprendere il rapporto dei politici britannici con il loro mestiere, la politica.

Nel corso della campagna elettorale, i Conservatives avevano promesso di rinegoziare gli accordi con l’Europa e di dare, poi, al popolo il diritto di scegliere se restare nella Unione o uscire.

Vinte le elezioni, rimasto David Cameron primo ministro, le promesse elettorali vennero rispettate, cosa per noi italiani oltremodo sorprendente. Ma quel che era stato detto doveva essere fatto. Può sembrare strano a noi abituati ad una politica fatta di proclami senza sostanza e di promesse senza valore, ma se i britannici dicono una cosa poi la fanno, anche in politica: non garantiscono l’impossibile, promettono quanto possono mantenere.

Ed è così che il 20 febbraio 2016, David Cameron annunciò il referendum per Brexit: “stiamo per prendere una delle decisioni più importanti per il nostro paese”, disse, “una scelta da cui dipenderà quale paese vogliamo essere e che futuro vogliamo per i nostri figli.”

Non era un dovere giuridico a muovere Cameron, bensì un obbligo morale: lo aveva promesso alla nazione, questo bastava a rendere l’atto doveroso, anche se le conseguenze potevano essere pesanti per la sua carriera politica. Ed in effetti lo furono: all’indomani dell’esito referendario, sconfitto nel suo credo europeista, David Cameron si dimise. 

Ancora una volta, non aveva l’obbligo di farlo ma, come disse durante la conferenza stampa, il popolo britannico aveva scelto, la sua volontà andava rispettata e lui non era più la persona giusta per la nazione. Nel suo discorso non ci fu mai acredine verso gli avversari politici o critiche delle decisioni prese. Anzi: “la Gran Bretagna è un grande paese e può sopravvivere anche senza l’Europa”, disse anche se, forse, non era convinto fino in fondo. Ma questa è la grandezza dei britannici: il rispetto degli altri e delle altrui decisioni, massimamente rappresentato dal rispetto che la loro politica tutta ha per il popolo, sovrano molto più nella monarchica britannica, che un sovrano lo ha davvero, piuttosto che in paesi dove l’unico “sovrano” è, per costituzione, il solo popolo.

A ben vedere, i britannici sembrano molto pentiti di quella scelta: se tornassero alle urne oggi, oltre il 56% voterebbe in favore dell’Europa. E questo dato rappresenta il grande limite della politica che, spesso, non è in grado di spiegare al popolo quali saranno le conseguenze delle sue scelte. O forse è il difetto della democrazia che proprio Churchill, con un sarcasmo tutto inglese, aveva definito “la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre.”. E non se ne esce.

Fatto sta che, se anche il volere popolare è oggi cambiato, è del piano B che si discuterà il prossimo 29 gennaio nella House of Commons, non di un secondo referendum che rimane un’ipotesi decisamente remota. Mentre in Italia, in un caso simile, staremmo ballando una sorta di tarantella dentro-fuori-dentro-fuori l’Europa, con scioperi quotidiani e dichiarazioni di attentato alla Costituzione, al papa, a Dio, per i britannici il problema non si pone proprio: abbiamo votato? Sì. Basta. Sono troppo rigidi per contemplare modifiche di qualsiasi sorta a quella legittima decisione, anche se frutto di una cattiva informazione. E questo è un loro limite. Ma, forse, è anche la loro forza, determinati ad andare sempre avanti nel rispetto delle regole, uniti per il bene di un paese nel nome del quale, alla fine, raggiungeranno un accordo soddisfacente con l’Europa. Perchè di una cosa si può essere certi: nessuno vuole una costosissima uscita senza deal

E allora via al piano B e staremo a vedere. 

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