Il marchio di Hester: la forza della lettera scarlatta tra Storia e invenzione

lettera scarlatta

«Ecco il piccolo scenario domestico della propria casa, ecco le sedie, ognuna con le sue definite caratteristiche, e al centro il tavolo su cui poggiano un cestino da lavoro, un libro o due, una lampada spenta… appaiono come spiritualizzati dall’effetto straniante della luce, sembrano perdere la loro materialità reale e diventano oggetti dell’intelletto». È così che Nathaniel Hawthorne descrive il processo di intersezione tra realtà e invenzione messo in atto nella sua opera maggiore, La lettera scarlatta (1850).

La storia di Hester Prynne, dei sua figlia Pearl e del marchio infatti sono inventate, come anche il «piccolo fascicolo di documenti avvolti in una pergamena» che si rivelano essere le memorie del sorvegliante Jonathan Pue e costituiscono il libro. Queste sono tenute insieme da uno straccio scarlatto a forma di A: la A che marchia la donna d’invenzione (Hester) e getta un’ombra sinistra sulla vera mentalità puritana. L’intero contesto sociale è ricostruito su fondamenta storiche. Inoltre la trama presenta molti elementi di ispirazione autobiografica.

Origini autobiografiche

Come spiega bene Mirella Billi nell’introduzione dell’edizione Oscar Mondadori 2012 di La lettera scarlatta, la storia si svolge a Salem, dove gli Hathorne — antenati puritani di Hawthorne — nel Seicento perseguitarono i quaccheri e ebbero un ruolo centrale nella famosa persecuzione delle streghe. William Hathorne (trisavolo dell’autore) fece arrestare e frustare pubblicamente i quaccheri approdati alla baia del Massachusetts. Il figlio John Hathorne fu uno dei giudici che emise sentenze di morte per uomini e donne accusati di stregoneria.

Inoltre, il bisnonno materno Nicholas Manning — arrivato a Salem nel 1679 — venne accusato di rapporti incestuosi con le sorelle. Lui riuscì a scappare, le sorelle vennero arrestate e costrette a girare per la città con appuntata sulle cuffie la parola incesto. Questa storia è certamente stata d’ispirazione per l’autore. Anche il cognome Prynne è spia di un altro collegamento storico. Difatti nel 1637 un puritano di nome William Prynne venne marchiato a fuoco su entrambe le guance per aver sfidato il potere della monarchia e della Chiesa d’Inghilterra.

La lettera scarlatta e il cambiamento

Il marchio rende visibile e tangibile una colpa, condanna alla vergogna e all’isolamento. Si tratta di un particolare che condiziona e etichetta una vita intera. Una galera esistenziale che incarna il giudizio impietoso di Hawthorne sul fanatismo puritano nell’America del Seicento. Siamo in Massachusetts, nel momento in cui la Nuova Inghilterra sta vedendo la luce. Rispetto al ritratto pessimistico della comunità ottocentesca che troviamo nel primo capitolo – non a caso intitolato La dogana – la società seicentesca appare ancora animata da un ideale politico-religioso. Il che sarebbe positivo se nei fatti la ricerca di questo ideale non si sposasse con la distorsione ideologica.  

Chi non si adegua ai dettami politico-religiosi della comunità è come merce trattenuta all’ufficio della dogana. Merce colpevole, pericolosa. Eppure Hester Prynne con il suo coraggio riesce a ribaltare la situazione. Dà un nuovo significato alla lettera scarlatta. Se la fa ricamare sul petto come se fosse una decorazione da esibire con fierezza e con la sua caparbietà riesce a capovolgerne il significato: «L’emblema non lasciò il suo petto, ma […] la lettera scarlatta cessò di essere il simbolo del castigo e del disprezzo per trasformarsi in un segno di bontà e rispetto». Così Hester finisce per incarnare l’imprevisto che scava dall’interno una società che sembrava destinata a rimanere immobile nella sua ottusità. È lei il cambiamento che parte dall’immaginario e muove la Storia.  

Foto di Enrique Meseguer da Pixabay

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