Il commissario Bordelli e il mistero del futuro

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È il 24 marzo del 1970, ancora nove giorni e il commissario Bordelli andrà ufficialmente in pensione. Un evento ineluttabile, un po’ come la morte («Gli sarebbe davvero mancato il suo lavoro. Fingeva di non saperlo, invece lo sapeva benissimo. Ma che ci poteva fare? Anche la morte era inevitabile, era solo questione di tempo»). Lo sa bene il teschio Geremia — muto confidente e coinquilino di Bordelli — che il temuto appuntamento con la pensione (e anche con la morte) l’ha passato da un pezzo. E anche se il commissario cerca continuamente di immaginare e programmare la vita nuova che lo aspetta, continua a vedere il suo futuro come una grande incognita. 

Siamo tra le pagine di Ragazze smarrite (Guanda, 2021), il nuovo romanzo del ciclo Bordelli firmato Marco Vichi. In questo appassionante capitolo il pensiero di quel dopo così incerto si sente forte e costante. Probabilmente ci saranno gli olivi da curare, più difficilmente memorie da scrivere, sicuramente libri da leggere e passeggiate in collina con il fidato Blisk. Ma alla domanda del medico legale Patrizia Leggiadri Della Torre «Ci sono due modi per reagire alla pensione… Lei è contento o triste?», Bordelli non può che rispondere: «C’è un terzo modo […] Il mistero… Non so davvero come mi sentirò e cosa farò, staremo a vedere». L’unica certezza è che questa oscura presenza chiamata mistero fa già parte del suo presente, è il suo mestiere e anno dopo anno lo mette di fronte alle situazioni più terribili.

Un possibile caso irrisolto

Il dialogo tra il commissario e il medico legale avviene alla presenza dell’ennesimo cadavere. Una giovane e bellissima donna che è stata abbandonata come spazzatura sul greto di un fiumiciattolo a Passo dei Pecorai, tra le colline del Chianti. Il caso fa ripensare dolorosamente all’omicidio di Diletta, avvenuto l’anno prima e raccontato in L’anno dei misteri. Solo che questa volta la ragazza morta sembra destinata a restare senza nome. Nessuna denuncia di scomparsa, nessun documento d’identità che permetta di identificarla, nessuno che abbia visto qualcosa. L’ultima speranza è pubblicare un annuncio su La Nazione e attendere. Ma l’attesa non è facile perché per il commissario Bordelli questo è l’ultimo caso e il rischio che non sia lui a svelare il mistero o che addirittura possa restare irrisolto lo tormenta.

La paura di andarsene a lavoro incompiuto è un altro tema fondamentale di Ragazze smarrite. Dopo una vita passata a caccia di assassini non si può lasciare un morto senza giustizia, specialmente se poteva salvarsi e è stato lasciato morire per vigliaccheria. Sommato alla restituzione del distintivo sarebbe decisamente troppo da sopportare: «Entrò nell’edificio, che conosceva come le proprie tasche, e imboccò le scale osservando con altri occhi ogni cosa, i muri, le finestre, i soffitti, i gradini… Erano gli ultimi giorni in cui poteva muoversi in quei luoghi familiari. Cercava di trovare un po’ di ottimismo, dicendosi di continuo che quel poco tempo gli sarebbe bastato per scoprire cos’era successo a Passo dei Pecorai, ma un secondo dopo smetteva di crederci». 

La nostalgia del presente prima che diventi passato

A questo timore si mescola la malinconia del distacco da tutti quei luoghi, oggetti, persone e abitudini che fino a quel momento hanno fatto parte della quotidianità del commissario. I tristi giorni delle ultime volte incombono. L’ultimo giorno nell’ufficio affrescato della Questura, le ultime parole crociate con Mugnai, l’ultimo pranzo alla trattoria da Cesare in qualità di agente della Pubblica Sicurezza, l’ultima discesa in Maggiolino dall’Impruneta alla Questura di via San Gallo… Improvvisamente tutto ciò che era consuetudinario prende il sapore dell’addio e alimenta un profondo senso di smarrimento. 

Bordelli avverte la mancanza prima ancora di subire la perdita. Sa che insieme al suo lavoro sta per lasciare anche una parte di sé. La parte più dinamica,  quella che ricerca quando fantastica su un futuro pieno di viaggi («Sarebbe andato a visitare città e paesi italiani che non aveva mai visto… Matera… Palermo… Alba…), ma che inevitabilmente finisce per riportarlo lungo le tracce della parte più dolorosa del suo passato («Il viaggio più lungo lo aveva fatto dal dicembre del ’43 all’aprile del ’45 […] Magari dopo la pensione poteva ripercorrere quel cammino, a piedi come allora, al fianco dei suoi compagni di guerra che non erano tornati a casa»).

La scatola da portare nel futuro

Nei momenti liminari della vita il passato e il futuro si toccano, si confondono e separarli non è facile.  Bordelli ci prova, come quel pomeriggio in ufficio, quando riordinando i cassetti divide cose inutili accumulate nel tempo e cose utili da portare via nella scatola di cartone che lo seguirà nella sua nuova vita. Ma questa scatola in realtà è molto più grande di quello che sembra. Ci sono anche le serate nella sua casa di campagna con la bella Eleonora e le civette che cantano in sottofondo, le cene con gli amici di sempre e le storie raccontate davanti a un buon bicchiere di vin santo, le eccentricità di Rosa, i libri comprati alla Seeber su consiglio del coltissimo Franco… 

Ci sono anche i romanzi di Alba De Céspedes (dedicataria del romanzo) che lo aiuteranno ancora una volta a scivolare nelle profondità di se stesso e a sondarle. Nella lettera che il commissario scrive per lei dice: «La sua scrittura ha significato per me la scoperta di nuove profondità umane, un’esplorazione delle zone più oscure e nascoste del mio animo, un viaggio alla conoscenza di me stesso». E forse è proprio un se stesso più riflessivo e consapevole quello che Bordelli tirerà fuori dalla scatola una volta attraversato il varco della pensione… Ma intanto siamo proprio sicuri che l’era dei misteri sia finita?

Foto di Willgard Krause da Pixabay

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