Il cielo sopra Berlino

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Piove su Berlino e sulla Germania. E piove su gran parte dell’Europa. Normale in questo periodo dell’anno. Ma non è di tempo meteorologico che vogliamo parlare. Se mai dell’atmosfera che si respira nelle capitali del vecchio continente. Che sarebbe meglio chiamare, posticipando l’aggettivo, continente vecchio. Berlino ne è, per vocazione storica e culturale, capitale. Oggi più che mai.

Simbolo di scavalcamento, smantellamento, abbattimento, espressione vivente di superamento di barriere e muri in un continente dove i muri si cominciano a ricostruire. Icona della riunificazione tedesca e perenne cantiere di convivenza civile, progetto sperimentale di città universale ideale. Oggi più che mai centro e baricentro culturale e politico di un’Europa alla ricerca di se stessa, ferita da Brexit, privata di Londra, e con Parigi, Roma e Madrid in profonda crisi d’identità.

Ma anche Berlino ha le sue gatte da pelare. Sul piano della giustizia sociale, dell’occupazione e dell’integrazione, per esempio. Un tema quest’ultimo diventato ancor più scottante dopo l’ondata di oltre un milione di profughi che ha raggiunto la Germania nel 2015. Cosa sia questa città nessuno lo sa bene e non lo sanno nemmeno loro, i berlinesi. Nel 1910 il critico d’arte Karl Schleffer nel suo libro “Berlino, il destino di una città” scrisse che la città era condannata “a sempre divenire, mai ad essere”, una definizione che appare quanto mai attuale. Oggi la metropoli è villaggio globale, città-stato e capitale al tempo stesso.

Ieri a Berlino si è votato e il voto ha avuto – come c’era da aspettarsi – una valenza politica ben più ampia di quella comunale e regionale. È stato l’ennesimo referendum pro-contro Angela Merkel recentemente sconfitta dall’AfD (Alternative für Deutschland) nel Meclemburgo, suo collegio elettorale. A Berlino l’Afd non ha stravinto, ma ha raggiunto comunque il risultato del 14,2%, ragguardevole se si considera che questo partito è nato solo cinque anni fa. Per la Cdu (Christlich-Demokratische Union Deutschlands) della cancelliera è stata un nuova sconfitta, il peggior risultato di sempre realizzato dal suo partito nella capitale. Anche la Grande Coalizione, l’alleanza tra Spd (Sozialdemokratische Partei Deutschlands) e Cdu alla guida di Berlino (e del governo federale tedesco) ha perso dal momento che ora non la più maggioranza e nonostante i due partiti siano ancora i primi nella città. Ma la diminuzione di consensi rispetto alle elezioni regionali del 2011 è marcata: dal 28,3% al 21,6% per i socialdemocratici, dal 23,3% al 17,6% per i cristiano democratici. Questi in sintesi i risultati di Berlino i cui effetti si faranno sentire sulla politica nazionale e non solo.

E a tal proposito va fatta una amara considerazione. E va detto senza mezzi termini che i meccanismi di funzionamento della politica degli stati europei, basati e frammentati su una miriade di elezioni a livello cittadino, regionale e statale, rischiano di affondare l’Europa sul piano politico e sociale. Ciò anche in considerazione della debolezza e vulnerabilità delle istituzioni che l’Unione Europea si è data, istituzioni tutt’altro che compiute. Senza una radicale riforma delle istituzioni europei e dei meccanismi di funzionamento l’Europa rischia, come un aeroplano senza portanza, di avvitarsi su se stessa, andare in stallo e precipitare.

Dalle urne berlinesi esce un pessimo segnale per le elezioni politiche tedesche dell’autunno 2017 e per Angela Merkel. È la fine di un personaggio controcorrente che con le sue doti di integrità, sobrietà, modestia, e – diciamolo pure – di grande onestà aveva incarnato e ancora incarna l’opposto del populismo e del narcisismo in politica? Vedremo.

Intanto a Berlino piove. E da Berlino nuvole grigie sembrano dirigersi minacciose, non solo geograficamente, sul resto della Germania e dell’Europa. 

Foto di Nikolaus Bader da Pixabay

 

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