I cinesi della cantina accanto

Recentemente uno studio della CGIA,  una associazione di piccoli artigiani e di  medie imprese di Mestre,  ha contribuito a far conoscere la “crescita” smisurata della piccola imprenditoria cinese nel nord d’Italia. Dallo studio emerge che tale crescita ha superato, per quanto sia stato possibile appurare senza considerare  possibili sottostime, la soglia delle 54 mila aziende. Di queste, molte in pieno esercizio senza rispetto alcuno delle norme di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e con la completa elusione di tasse e contributi. Queste “realtà aziendali” ,proliferate nell’ultimo decennio in modo massivo, hanno contribuito pesantemente alla crisi delle nostre pmi, come sottolineato dal segretario della stessa CGIA,  Giuseppe Bortolussi  «La loro forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi.  Spesso queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali. Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra».

Parole che dovrebbero far riflettere gli attori principali della politica economica del nostro paese. Il  grande volume di  disposizioni normative dettate per far si che l’esercizio di una attività sia regolarmente corretto, teoricamente è rivolto a tutti. Nella realtà, gli enti competenti, monitorati dalle varie commissioni nominate ad hoc per la vigilanza, hanno grossissimi problemi nell’accertare chi trasgredisce le regole. A rimetterci,  sono solo le nostre piccole imprese familiari che rimangono strozzate fino al decesso da tutte le disposizioni che devono obbligatoriamente rispettare. Nelle varie manovre che colpiscono solo chi non ha la possibilità di evitare le varie imposizioni fiscali, si dovrebbe investire sull’attuazione di “vere” politiche di controllo di tutte le aziende cinesi presenti in Italia. I profitti enormi di cui godono, sono accumulati con prezzi a costo zero o quasi;  questo distrugge le possibilità di competizione da parte delle aziende italiane che, al contrario, devono misurarsi con gli alti costi del lavoro.

Massimo Ticchio

foto: cronachemaceratesi.it

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