Halloween, oltre le zucche

img_4425Ogni anno, il 31 ottobre, sento voci levarsi contro il festeggiamento di Halloween, gridando alla stregoneria, al paganesimo, al vilipendio della religione. Non è proprio così.

Halloween, Allhallows’ eve, è parola composta da Hallow, il cui principale significato attiene alla santificazione, ed il suffisso –een, che, pari ad eve, significa vigilia, contrariamente a –mas, che indica la festa vera e propria (il primo novembre, infatti, è Hallowmas, la festa di Ognissanti, così come il Natale è Christmas, la festa di Cristo).

La festa di Ognissanti è un innesto cristiano sulla precedente tradizione pagana. Durante la cristianizzazione del nord Europa alcuni miti pagani caddero facilmente sotto i “consigli” od i divieti della Chiesa; altri, però, erano troppo radicati e troppo sentiti per sparire. La Chiesa, dunque, li fece propri, adagiando su quelle feste, su quelle ritualità, proprie ricorrenze. In tal modo il festeggiamento pagano, che non avrebbe mai potuto sradicare, sarebbe semplicemente divenuto cristiano e, come tale, ben accetto.

Cosa si festeggiava, dunque, il primo novembre, prima che i cristiani attribuissero a quella data la celebrazione di tutti i Santi?

I Celti dividevano l’anno essenzialmente in due semestri: il primo novembre si festeggiava Samhain, l’inizio dell’anno, che coincideva con l’inizio del semestre invernale, dell’oscurità, del freddo; il primo maggio si festeggiava Beltane o Cetsamhain, l’inizio del semestre di luce, di raccolti e prosperità. Queste due feste erano inframmezzate da altre due, Imbolc il primo febbraio e Lughnasadh il primo agosto.

Tutte e quattro le feste, che si celebravano esattamente quaranta giorni dopo i solstizi e gli equinozi, quando il sole era a 16° 20’ a nord od a sud -e, purtroppo, non è questa la sede per esplorare analiticamente questa affascinante scelta- erano caratterizzate da lauti banchetti e falò, tanto che venivano chiamate anche “feste del fuoco”.

Orbene, il Samhain, segnando il passaggio dalla luce estiva all’oscurità invernale, rappresentava anche il passaggio da un mondo all’altro. E l’altro mondo era il Sìdh, regno degli spiriti comuni, degli spiriti eccelsi e di quelli infimi, il regno degli esseri fatati e magici e delle anime destinate a nascere in futuro.

Il 31 ottobre, dunque, ultimo giorno dell’anno celtico, al calare della sera, in un contesto disancorato dalle leggi del tempo e dello spazio che favoriva la divinazione ed amplificava i poteri sovrannaturali, gli abitanti del Sìdh potevano accedere alla Terra per trascorrere l’intera notte con i vivi, parenti ed amici. Durante l’incontro gli spiriti parlavano del passato, del presente, ascoltavano i bardi con i loro cari e soprattutto li proteggevano. L’apertura tra il mondo dei vivi e quello dei morti, infatti, non era selettiva e, dunque, sulla terra arrivavano anche spiriti maligni, demoni e quant’altro. Ebbene, si riteneva che lo spirito dei propri antenati in casa, raffigurato, poi, nella zucca illuminata, impedisse al Male di entrare.

Protezione e condivisione con il defunto dello “spazio e del tempo dei vivi”: opinabile che la matrice di simili istanze sia solo pagana. Ancora oggi, in Italia, esistono paesi nei quali si apparecchia la tavola per il caro estinto, o si organizzano pic-nic al cimitero per condividere il desco con lui, os i preparano i dolcetti dei morti.

In buona sostanza, la sovrapposizione della tradizione cristiana a quella celtica non concerne tanto il festeggiamento, comune ad entrambi i culti, ma il periodo dell’anno per la celebrazione, avendo, i cristiani, fissato la festa di Ognissanti nello stesso giorno della tradizione celtica ed avendo spostato la ricorrenza dei morti al giorno seguente, affinché non si confondesse con i festeggiamenti celtici della fine dell’anno. D’altronde solo in questo modo la Chiesa poteva sperare di conservare nel suo impero d’anime i Celti. Se avesse condannato l’Halloween, o l’avesse fissato in altra data, lontana dal loro capodanno, li avrebbe persi!

Ovviamente, con il progredire dei secoli, la tradizione si è colorata di elementi folkloristici: le zucche; le maschere tratte dall’immaginario del mondo occulto, tra cui fantasmi, streghe, vampiri e demoni; il pellegrinaggio dei bambini mascherati da esseri infernali che minacciano la casa se non si concede loro qualche dolcetto, ecc.

A dire il vero, ogni volta che parlo del Samhain, più che una zucca illuminata od una maschera, a me viene in mente Giacomo Leopardi; in particolare una sua splendida Operetta Moprale, Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie. La ricordate? Una notte di un “anno grande e matematico” nel gabinetto scientifico del notomista Ruysch le mummie iniziano a parlare. Possono farlo per un quarto d’ora e solo se interrogate da un vivente.

L’aldilà leopardiano è sicuramente meno vivace di quello celtico: i morti vivono nell’assenza di sensazioni e di dolore, in pratica conoscono la felicità secondo Schopenhauer; tuttavia la misteriosa congiuntura astrale che rende possibile il dialogo, ossia l’apertura di un varco tra vita e morte, mi ha sempre fatto pensare ad un’escursione leopardiana nel mondo celtico, o, forse, in quello egizio delle false porte di cui, però, con mio immenso rammarico, non è questa la sede per parlare.

di Raffaella Bonsignori

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