Gli ebrei romani e il settennato delle leggi razziali – Testimonianza di Silvana Ajò

Classe 1927, energia da vendere e tante cose da raccontare.
Silvana, ancora oggi, va a fare volontariato alla fondazione del “Museo della Shoah” alla Casina dei Vallati nel quartiere ebraico e non perde la sana abitudine discutere, ragionare e raccontare.

Come se fosse accaduto ieri, comincia col ricordo del 1936, quando dopo la vittoriosa guerra d’Abissinia, il Duce iniziò a coltivare l’dea di riportare la capitale ai fasti e ai modelli dell’antico Impero Romano.

Di fatto, senza logica alcuna, i gerarchi fascisti diedero inizio alla triste e sconclusionata “propaganda” secondo cui la causa di tutte le guerre fosse generata dagli ebrei.
Adeguandosi al popolo attraverso simboli come la “nudità eroica” delle grandi statue antiche, tuttora posizionate con imponenza in alcune parti della città, Mussolini individua nella minoranza semita il fulcro di un vero e proprio capro espiatorio, seminando venti di guerra tra l’indifferenza generale della gente.

Nelle scuole di ogni ordine e grado, gli insegnanti cominciarono quindi ad invitare le ragazzine e i ragazzini ebrei a “…non venire piú a scuola…” , attraverso pretesti senza supporti reali, ma che, col tempo, perseguirono l’obiettivo di emarginarli completamente. Addirittura, in alcuni istituti,  gli scolari ebrei venivano indirizzati ad entrare ed uscire da scuola da porte diverse da quelle degli altri.
I più grandi, già studenti di liceo, si dovettero organizzare per poter frequentare la scuola utilizzando per i trasporti  la “Circolare rossa” (oggi linea 19) che girava per tutti i quartieri e consentiva di raccogliere i ragazzi che dovevano raggiungere la zona circostante al Colosseo e dove potevano ancora recarsi dopo la “cacciata” dalle scuole del Regno.

Silvana era molto studiosa, ma fu costretta a rinunciare alla frequentazione del liceo Giulio Cesare perché la “caccia all’ebreo”, compresi gli insegnanti, era diventata una delle principali regole del regime per via dell’incredibile emanazione delle leggi razziali e quindi era troppo pericoloso continuare gli studi. A seguito dell’anno scolastico perso, recuperò poi l’anno perduto perché lo studio, per gli ebrei, è la cosa più importante.

Nel frattempo, una volta scoppiata la guerra nel 1940, gli ebrei vennero considerati nemici veri e propri. Silvana e parte della sua famiglia, debbono riconoscenza alle coraggiose persone amiche che si offrirono di nasconderle per sfuggire alla cattura.
Nella maggior parte dei casi, non solo gli ebrei venivano infatti denunciati, ma subivano anche razzie nelle loro case e negozi da parte dai fascisti, talora anche accompagnati dalle SS.

Il papà di Silvana era titolare di un esercizio commerciale di vendita all’ingrosso di forniture per sartoria in via del Tritone, ove “….adesso ci sono i cinesi e mi fa una certa impressione vederlo così trasformato…”. Da un certo punto in poi, mentre Silvana e la mamma con le due sorelle più piccole vissero nascoste in casa di un cliente del loro negozio e che aveva lasciato a loro disposizione il proprio appartamento a seguito di una “soffiata”, il padre era rintanato in una casa bombardata a San Lorenzo.

Purtroppo, la sorella della mamma con i suoi figli che vivevano a Torino, vennero deportati ad Aushwitz, ma Silvana ne ebbe notizia soltanto dopo molto tempo per via dei noti fatti della Repubblica di Salò che divise l’Italia in due.

Già nel 1938, con l’emanazione delle leggi razziali, gli ebrei cominciarono, loro malgrado, ad essere percepiti come “diversi”, così iniziando il terribile percorso persecutorio che non finì neanche con la guerra perché, anche dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre di Badoglio con gli alleati, nell’occhio della rottura dell’asse Roma-Berlino, iniziarono le vere retate di ebrei da parte delle SS, aiutate dalle bande fasciste che li denunciavano dietro compenso.

Non ebbero più tregua fino al 25 aprile del 1945.
Sono racconti terribili, questi, quasi surreali. 
Ma sono veri.

Nel corso degli anni a seguire, la difficoltà di normalizzazione postbellica fa tuttora fatica a consolidarsi, né sono mancati i “mea culpa” anche da parte della Chiesa che non ha esitato ad ammettere che “…i cattolici avrebbero potuto (perché non dovuto? n.d.r.) fare di più per gli ebrei”, come da dichiarazione formale del Cardinale Bassetti il 19 novembre 2018 in occasione degli ottant’anni delle leggi razziali.

L’importanza della memoria per un fatto storico recente come la discriminazione razziale non deve e non dovrà mai venir meno.
Ma soprattutto, che con accada mai più.

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