Fragile Italia, dove stai andando

La marcia dei giovani studenti europei  contro il “climate change” svoltasi in questi giorni a Brusselles, capeggiata dalla combattiva sedicenne svedese Greta Thunberg e l’appassionato discorso da lei tenuto all’interno del Parlamento Europeo stanno avendo i loro effetti, poiché anche tra la gente comune si torna finalmente a riparlare dei cambiamenti climatici e della salvaguardia del Pianeta.

La discussione sta riprendendo quota nonostante le classi dirigenti dei più importanti paesi industriali, ad incominciare soprattutto dal Presidente americano Trump e dai governi cinese e indiano su questa questione continuino a nicchiare. 

In Italia ne discettiamo senza convinzione a fasi alterne da molto tempo e quindi quello che stiamo per scrivere probabilmente è già stato scritto e detto parecchie volte. 

Da anni, forse da quaranta o cinquanta, dall’inizio del benedetto o maledetto boom economico che ha trasformato il carattere, la struttura fisica e civile, l’orografia e la stessa  vocazione umana e culturale del nostro  paese. 

Scegliendo l’industria al posto dell’agricoltura, le città invece delle campagne, il cemento al posto delle foreste; le strade, le autostrade, i palazzi, le piscine, gli aeroporti e gli alberghi contro il variegato paesaggio rurale di valli e colline di straordinaria bellezza che c‘era capitato di avere in dote. 

La modernità certo, il progresso che ci ha permesso di uscire dal medioevo strutturale, precipitandoci nel contempo però, per  l’incuria e la disattenzione protratte negli anni, nell’inferno dei dissesti idrogeologici, delle tragedie dei  terremoti, dell’inquinamento, della bruttezza e dell’insicurezza. 

Si dice che la natura alla fine di un ciclo si riprenda tutto ciò che gli è stato tolto vendicandosi degli stupri subiti, delle ferite affrontate e che la Terra è fragile, delicata e soprattutto limitata. 

Ed è vero, perché non ci sopporterà all’infinito, forse si arrenderà prima di potersi riorganizzare e se entro due o tre generazioni umane non correremo ai ripari, se non ci affideremo alle competenze acquisite e alla scienza, saranno guai. 

E  se non sottoscriveremo un patto di reciproco rispetto con essa, è probabile che i nostri pronipoti non vedranno e non potranno godere il “Belpaese” così come  narrato nei secoli da poeti e viaggiatori. Non conosceranno i pini rossi degli Stradivari, le coste raccontate da Omero dove approdarono Ulisse ed Enea, i monti e le valli dove transitarono gli elefanti di Annibale, la Magna Grecia e la bellezza malinconica della laguna veneziana.  

Forse dovremo riscrivere la storia e interrarla in una capsula del tempo da far ritrovare alle genti future, probabilmente aliene, le quali  scopriranno con rinnovato stupore,  quanto meraviglioso fosse quello scoglio che si protraeva  fin dentro un mare di cristallo e quanto fossero stolti gli uomini e le donne che l’abitarono. Quel posto si chiamava Italia.

Fonte foto: voglioviverecosi.com

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