Fino a toccare il cielo – L’Alpinismo si trasforma. Le nuove tendenze, la nascita del Free Climbing


Terza parte

Le trasformazioni sociali e culturali degli anni ’70, coinvolsero anche l’alpinismo e, come ormai succedeva in numerosissimi altri campi, le tendenze e le mode arrivavano principalmente dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra sotto forma di articoli giornalistici, attraverso le tv e tramite  qualche apparizione di scalatori di quelle nazioni sul Monte Bianco, che portarono una ventata di novità, forse al tempo non appieno compresa nel suo valore innovativo (Robbins, Hemmings, Harlin,Pratt, Dru ecc.).

Bisognerà  dunque attendere qualche anno affinché il fenomeno s‘ imponga definitivamente anche da noi.  

In Italia queste novità furono raccolte innanzitutto in due località: nella Valle dell’Orco e nella Val di Mello anche se erano state anticipate, almeno su alcuni aspetti, da pochi “cani sciolti” di eccezionale capacità e intuito come Cozzolino e Messner.

Le caratteristiche principali di questo “Rinascimento”, che comportò una vera e propria rivoluzione tecnica, tecnologica, etica e linguistica, saranno capite  solo a seguito della nascita  di quella che si andava definendo come una branca alternativa dell’alpinismo, che già allora tentava di trovare una sua strada  autonoma: il “Free Climbing”. Un’autentica rivoluzione culturale che rifiutava più o meno radicalmente l’arrampicata artificiale. 

Gli  “Yosemetici

Praticato dagli  ’Stonemasters’, arrampicatori americani della Yosemite Valley, passati alla storia per il loro stile leggendario e controcorrente, come il look e le abitudini da figli dei fiori che li caratterizzavano, incarnava una “filosofia”,  uno stile di vita non solo di arrampicata, basato sulla semplicità, libero e hippie.

Con il  “Clean Climbing” aborrivano i chiodi a espansione e ridimensionavano  l’uso di quelli tradizionali a favore delle moderne protezioni veloci che lasciavano intatta la parete, quali gli “stopper, gli  eccentrici e successivamente i friends”.

In quell’epoca nacque anche il “Bouldering”, una sorta di rivalutazione delle strutture di bassa quota e addirittura dei massi come attività fine a se stessa o al massimo allenante (sassismo-boulder), dove le capacità fisiche e tecniche e quindi l’allenamento, la ripetizione, la cura del gesto atletico erano centrali, mentre le componenti tradizionali dell’alpinismo come la fatica, la paura e il freddo diventavano secondarie.     

La cultura “Yosemitica” legata alle pulsioni giovanilistiche e contestatarie di quegli anni, divenne subito moda e fece immediatamente presa nella massa più giovane degli alpinisti italiani ed europei che abbandonarono repentinamente i pantaloni alla zuava e gli scarponi per le braghe di tela e le scarpette di pelle e gomma, anche se da noi era stata già anticipata da un fortissimo scalatore all’epoca poco valorizzato, un “controcorrente” e certamente un precursore come Pierluigi Bini.

Il “Rinnovamento” in Italia

Anche in Italia la contestazione sessantottina,  seppur con qualche ritardo, portò cambiamenti  e il rinnovamento, o se volete l’innovazione,  prese il nome di “Nuovo Mattino”, dal titolo di un articolo di Gian Piero Motti sulla Rivista della Montagnaall’inizio degli anni ‘70.   

Qui s’incominciò a mettere in dubbio e a contestare tutto ciò che prevedeva  la conquista della cima per mezzo delle vie classiche, da ripetere con tecniche e metodologie consolidate.

L’idea del “Movimento”  era  invece quella di basare l’arrampicata sulla scoperta della libertà, sul gusto per la trasgressione, rifiutando la cultura alpinistica della vetta a tutti i costi, dei rifugi, degli scarponi, del CAI, delle guide e deprecando, nel contempo,  lo sfruttamento ambientale delle montagne.

Una vera “reinvenzione”,  che anticiperà molti dei temi che diventeranno di dominio pubblico nei decenni successivi.  Oltre a noi, in  Europa saranno soprattutto i francesi del Verdon e un gruppo di arrampicatori di lingua tedesca ad abbracciare il nuovo modello.

La diffusione nel mondo

Metodi specifici di allenamento fisico e psichico, innovazioni tecniche spesso importate dagli Stati Uniti e fatte conoscere dagli sperimentatori californiani che si allenavano sulla formazione rocciosa di El Capitan, fino  allora considerata inscalabile, otterranno risultati clamorosi, rendendo possibile la vittoria contro difficoltà che a quel tempo sembravano insormontabili.

Fondamentale a questo scopo fu il ritorno alla ribalta del chiodo a espansione, il cosiddetto “spit” che ha permesso, negli ultimi quarant’anni, di “attrezzare”  in tutto il mondo,  innumerevoli vie su centinaia e centinaia di falesie e l’esplosione del free climbing a livello planetario, che conta ormai parecchie centinaia di migliaia di praticanti  sia a livello amatoriale che professionistico, ottenendo riconoscimenti prestigiosi, fino ad essere annoverato e inserito, con le necessarie varianti, come “sport” alle prossime Olimpiadi di Tokio nel 2020.

Sono sorte  addirittura federazioni nazionali  e internazionali, codificati e unificati i “gradi” di difficoltà, programmate le competizioni, le norme, con tutto l’armamentario di regole e regolette che però, ”istituzionalizzandolo” e massificandolo, rischiano anche di soffocarlo e comunque di snaturarne i principi originari di genuina libertà anarcoide.  

Continua…

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