Festa del Lavoro o festa della disoccupazione?

lavorofestaDomani è la festa dei lavoratori, da anni celebrata in tutto il mondo il primo maggio in memoria di quattro operai, quattro organizzatori sindacali e quattro anarchici, impiccati a Chicago per aver organizzato in quel giorno del lontano 1886, davanti all’ingresso della fabbrica di macchine agricole McCormick, uno sciopero e una manifestazione a favore delle otto ore lavorative.

Ma se la causa della ricorrenza è nobile, le strumentalizzazioni che esistono su questa festa sono spesso di basso profilo. Pensiamo per esempio all’appropriazione indebita che della celebrazione di domani ne fanno molti politici e sindacalisti.

Perché va bene una manifestazione culturale e aggregante come quella di piazza San Giovanni ma riteniamo che per celebrare in maniera utile e costruttiva la festa del lavoro bisognerebbe pensare in primo luogo a chi il lavoro non ce l’ha più, o non lo ha mai avuto.

Inoltre, chi utilizza i soldi dello stato attraverso stipendi corposi o finanziamenti troppo agevoli ad enti e associazioni, dovrebbe fare molto di più per i disoccupati e usare meno parole e demagogia come proprio cavallo di battaglia.

Per esempio, riqualificare i vecchi mestieri come i bidelli, i bigliettai, i calzolai, gli stracciai, ecc.. Perché questi mestieri stanno scomparendo proprio in funzione della cultura del colletto bianco determinata da questi signori.

Probabilmente le crepe e i crolli nelle scuole sarebbero evitati se ci fossero ancora i vecchi bidelli. Quelli che, ai tempi di chi scrive, ti davano una mano se ti si rompeva la cartella (lo zaino ancora non era un prodotto di massa), ti soccorrevano se ti sentivi male e avevano due parole di conforto se prendevi un brutto voto.

Cosi come il bigliettaio sui mezzi pubblici: con lui non si sentivano parolacce, le signore e gli anziani erano rispettati perché a tutela del posto a sedere c’era questo signore, “lo strappa biglietti”. Il maleducato che non si alzava per dare il posto alla vecchina o alla donna incinta veniva sollecitato a farlo. Ma, cosa fondamentale per le casse dell’azienda comunale, il costo del biglietto era garantito dalla loro presenza. Se non avevi i soldi o volevi fare il furbo, l’alternativa al bus era il marciapiede. Una bella passeggiata e arrivavi a destinazione.

E come dimenticare il calzolaio. Si contano sulla punta delle dita quelli che ancora fanno questo mestiere; perché il più delle volte, oggi, le scarpe non si riparano, si acquistano nuove. I giovani non sanno neanche cosa significhi rifare le “mezze suole e i soprattacchi”, perché utilizzano soltanto scarpe da ginnastica, ogni volta nuove. Ma soprattutto devono essere alla moda, e il costo non è certo basso. Queste si rompono, si usurano, si cambiano. Una volta le scarpe non erano “cucite” ai piedi. Le Stan Smith le utilizzavamo anche noi ma si alternavano con i mocassini, con i Camperos, i mitici stivali americani di cuoio, di tendenza negli agli anni ottanta. Si consumavano le suole e venivano ricoverati un paio di giorni dal calzolaio.

Ma soprattutto esisteva una forma di lavoro quella dell’”apprendistato”, che consentiva a molti ragazzi di avviarsi piano piano, al mondo del lavoro. Si diceva “imparare un mestiere” ma non solo quello; serviva anche a far capire la complessità del mondo del lavoro, a capire quali erano le proprie inclinazioni, le proprie capacità, ed alla fine essere anche contenti di aver guadagnato qualche cosa.

Certo adesso c’è la “Manpower” i contratti a tempo, la possibilità di trovare lavoretti, che spesso però non servono ad acquisire esperienza.

Il mondo del lavoro è cambiato, certo, le esigenze economiche sono diverse, molto più legate al benefit, al superfluo, al consumo immediato, più che a cercare di costruire un futuro.

Il sistema fiscale italiano è soprattutto vessatorio, impedendo di fatto una ripresa dell’economia costringendo le aziende a chiudere, o cosa ancora peggiore ad aprire all’estero in paesi come la Spagna, o la Francia dove l’imprenditoria viene supportata anche a livello di piccola impresa.

Insomma per celebrare la festa del lavoro occorre che si intervenga sull’occupazione, facendo in modo che la festa del lavoro non mascheri la festa del “disoccupato” ma che rappresenti una scelta politica di intervento che ristabilisca l’essenzialità dell’impiego per le giovani generazioni, ma soprattutto che la politica torni a comandare sul sistema finanziario delle banche, che negli ultimi anni con l’arricchimento di pochi ha prodotto migliaia di disoccupati.

di Enzo Di Stasio

foto: comune.genova.it

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