Erdogan, non un inaffidabile alleato ma un fedele esecutore della politica Usa

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Erdogan. Sulla scacchiera della politica estera euro mediorientale, nell’ultimo decennio, è apparso un nuovo protagonista inaspettato. Stiamo parlando del Presidente turco Recep Erdogan che, attualmente, è impegnato in prima persona nelle crisi più disparate. E’ attivo in Siria, in Libia, a Gaza, come sponsor dell’opposizione in Egitto e recentemente addirittura in Somalia.

Negli ultimi anni, per come si è introdotto nelle varie questioni, Erdogan è stato definito come un interlocutore inaffidabile soprattutto da parte degli osservatori occidentali. La sua politica “neo-ottomana”, con la quale vuole porsi come figura carismatica tra i musulmani di confessione sunnita è apparsa contraria agli interessi occidentali e soprattutto europei. Inoltre, pur facendo parte della Nato, ha più volte stretto accordi con Putin, scavalcando apparentemente gli Stati Uniti d’America. Discusso, infine, il suo intervento militare in Libia, a due passi dalle coste dell’Europa.

Siamo tuttavia proprio sicuri che l’azione di Erdogan sia così “inaffidabile”? Se entriamo infatti nell’ordine d’idee della “guerra per interposizione”, a nostro parere, si chiariscono molte cose. Per “guerra d’interposizione” s’intende l’azione delle piccole potenze per conto delle grandi là dove queste non possono (o non vogliono) intervenire in prima persona. Scopriamo allora che non c’è un grammo della politica di Erdogan che non sia in funzione di quella più ampia degli Stati Uniti. Sia in Medio Oriente, sia in Africa settentrionale e, ora, anche nel Corno d’Africa.

Sono i curdi i veri nemici di Erdogan

Il vero problema di Erdogan è il timore che la minoranza turca di etnia curda si possa alleare con i connazionali siro-irakeni e proclamare un grande Kurdistan indipendente. Per questo ha sempre definito i curdi come “terroristi”. La politica anticurda di Erdogan era però tenuta a freno dagli Usa dell’amministrazione Obama. Washington, infatti, aveva concesso ampia autonomia al Kurdistan irakeno, in funzione anti-Iran. Un entità autonoma curda in Irak – magari estesa alla Siria – avrebbe impedito all’Iran di collegarsi territorialmente con il suo alleato Assad e gli Hezbollah libanesi sciiti.

A Barack Obama, probabilmente, andava a genio l’appoggio di Erdogan ai “fratelli musulmani” d’Egitto e ad Hamas. Il “sogno” dell’allora Presidente democratico era quello di portare la democrazia e il rispetto dei diritti umani nel mondo islamico. Un sogno che è miseramente fallito se non, forse, in Tunisia. In compenso, il suo “sogno” ha destabilizzato completamente l’area mediterranea, a partire dalla Libia sino in Siria ed oltre.

A complicare la questione è sorto Daesh, proprio nell’area abitata dai curdi. Non è un segreto che la Turchia finanziava lo Stato islamico acquistando da esso petrolio a prezzi stracciati e armandolo in funzione anti-curda. Probabilmente è per tale motivo che la stampa Usa filo-democratica ha cominciato a bollare Erdogan come inaffidabile. Alla fine del mandato di Obama si è verificato un fallito golpe anti-Erdogan per il quale il Presidente turco ha sempre accusato il governo americano allora in carica. Poi è stato eletto Trump e, in Oriente , la musica è cambiata.

Ad Afrin e a Idlib, in Siria, non si è mossa foglia senza l’assenso Usa

Trump non ha mai nascosto l’intenzione di disimpegnare militarmente gli Stati Uniti dallo scacchiere mediorientale e nordafricano. Tale politica non è poi tanto differente da quella adottata in precedenza da Obama. Solo che questi aveva tentato di coinvolgere le potenze europee (Francia e Gran Bretagna) in previsione di un disimpegno Usa. Trump, inoltre, a differenza di Obama ha individuato un unico vero nemico nell’area: l’Iran.

Nella logica della guerra d’interposizione, quindi, la Turchia di Erdogan è diventata perfettamente funzionale alla politica estera di Trump. In Siria, l’azione di Erdogan si è esplicata in due fasi. Nella prima (gennaio 2018), si è fatto carico di radunare e proteggere gli oppositori di Assad nel distretto di Afrin. Qui gli Usa (e la Russia) hanno accettato che scacciasse la minoranza curda per controllare meglio il territorio.

Nella seconda fase (2019) ha proceduto in modo analogo nella provincia di Idlib. In più, si è impadronito di una “zona cuscinetto” tra il Kurdistan siriano e quello curdo. In tale fascia è intenzionato a riversare circa un milione di profughi siriani antigovernativi (quindi filo americani) già rifugiatisi in Turchia. Negli accordi del marzo scorso Putin ha dovuto prendere atto della situazione, anche se è riuscito a ritagliarsi alcune posizioni strategiche nelle due aree.

La politica ‘neo-ottomana’ di Erdogan

Coloro che avevano sentenziato di un possibile passaggio della Turchia tra gli alleati di Putin non hanno capito niente. Putin sapeva benissimo che formalmente aveva di fronte Erdogan ma in realtà si accordava con Trump. Non foss’altro perché la Turchia fa ancora parte della Nato, ha i missili Usa nelle sue basi militari e, in caso di attacco al suo territorio si scatenerebbe la Terza Guerra Mondiale.

Detto ciò, gli Stati Uniti hanno inviato Erdogan a dare una mano in Libia al tripolino Al Sarraj. L’Europa, infatti, non può sporcarsi le mani o infilarsi in un altra trappola per topi mediorientale. Non che a Trump importi particolarmente della situazione libica e di Al Sarraj. Ma l’avversario di quest’ultimo, il generale Haftar si stava facendo assistere da Putin e armare dalla Francia. Macron sì inaffidabile, agli occhi di Washington. A Erdogan non è parso vero di intervenire in Libia, nell’ottica delle sue velleità “neo-ottomane”. Ha chiesto in cambio lo sfruttamento economico di un’ampia area del Mediterraneo, onde frapporsi al passaggio di un nuovo gasdotto verso l’Europa in concorrenza con quello passante in territorio turco.

Infine, Erdogan sta mettendo le mani in Somalia e nel Corno d’Africa. Qui la situazione è perfettamente analoga a quella siriana. Gli strategici stretti di Aden sono infatti controllati dagli integralisti somali, da un lato, e dai ribelli yemeniti filo-iraniani dall’altro. Al posto della presenza russa, tra gli Stati africani, trova sempre più riscontro quella cinese Cina in funzione “via della seta”. Gli Stati Uniti, da anni impegnati a stabilizzare la situazione, sono stufi di rischiare vite umane, senza riuscire a trovare una via d’uscita. Così, anche qui, la via d’uscita si chiama Erdogan. Altro che inaffidabile alleato: fedele scudiero degli Usa!

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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