Enrico Luceri parla di “Sola nell’auto”, il nuovo romanzo di Patrizia Calamia

Una mattina di gennaio del 2017. Il cadavere di una ragazzina sul sedile posteriore di un’auto. La vittima è stata strangolata altrove e poi deposta nella macchina. Sembra un’indagine complicata, invece pare risolversi nel giro di pochi giorni. Il colpevole viene arrestato grazie ad una traccia biologica presente sulla scena del crimine. Caso chiuso. Invece no.

Monica Quanti ispettrice e criminologa convince il commissario Cosimo Cavaliero a proseguire le indagini. Le certezze si sbriciolano, i dubbi si rafforzano, l’inchiesta diventa sempre più difficile. Monica Quanti è una donna ancora giovane ma di solida esperienza e competenza, anche se nelle pieghe dei ricordi conserva dolorose ferite.

Invece una traccia c’è. E Monica la intuisce, e segue tenacemente. Ecco, per trovare un assassino, per svelarne l’identità è necessario cercare prima un movente.

Potrebbe essere un furto. L’assassino è stato derubato di qualcosa di così prezioso, anzi inestimabile, che ora deve uccidere per riaverla indietro. Qualcosa di simile non si vede, né tocca o si sente, perché non ha materia e consistenza. Però esiste. Si chiama emozione. L’assassino è stato derubato di un’emozione. Da chi?

L’ispettore Monica Quanti e la squadra del commissario Cavaliero procedono per intuizione e logica deduttiva. Chi possono essere i ladri di un’emozione?

Patrizia Calamia

Dei genitori che ci hanno deluso. Un fratello o una sorella che ci hanno negato il loro affetto. Un ragazzo o una ragazza che ci hanno giurato un amore eterno che non si è rivelato tale. Degli amici che hanno tradito la nostra fiducia. Dei compagni di scuola che hanno commesso una marachella, e poi hanno accusato noi, per evitare la punizione.

Tutti abbiamo vissuto un’esperienza simile, e siamo riusciti a superarla, più o meno con difficoltà, a dimenticarla. Quel ricordo è svanito nel tempo. Si è dissolto come il fumo di una sigaretta nell’aria. O è sbiadito come il colore di certe fotografie dopo decenni, quando volti e paesaggi non si distinguono più.

Ma qualcuno non ce la fa, e il ricordo non si dissolve, ma sopravvive, addormentato in quel posto buio e freddo in fondo alla memoria, o all’anima se preferite, che fa paura solo immaginarlo. Un giorno quel ricordo si sveglierà, e sarà diventato qualcosa di diverso: un’ossessione, anzi un trauma. Che rinnova dolorosamente il ricordo di quell’emozione rubata.

C’è una sola medicina per calmare quel dolore, quella sofferenza: uccidere chi l’ha provocata.

La squadra del commissario Cavaliero avrà bisogno di pazienza, abilità, intuito e anche di fortuna per scovare quella piega del tempo, quella circostanza, quel luogo, in cui s’incrociò il destino delle vittime.

Un luogo remoto nel tempo e nello spazio dove si consumò un dolore antico come il mondo, e pare di rammentare la filastrocca dei Tre topolini ciechi di Agatha Christie.

Sì, Patrizia Calamia ha scritto un giallo bellissimo, dove l’indagine è l’espediente narrativo per incidere con il bisturi della narrativa una sofferenza comune a tanti, ma vissuta sempre in maniera diversa, singolare e personale.

Perché in fondo si scrive di ciò che si conosce. E cosa conoscono gli autori, proprio come i loro lettori?

L’amore, l’odio, la calma, la rabbia, la gioia, la tristezza? Certamente. Ma soprattutto il dolore.

Il dolore è ciò che non accettiamo, sopportiamo, perdoniamo. È una sofferenza morale prima che fisica.

Che anche gli assassini conoscono bene.

L’ispettore Monica Quanti lo sa bene, e sarà necessario uno sforzo enorme per esaminare con razionale velocità i pochi elementi a sua disposizione e impegnarsi in una gara contro il tempo e le mani dell’assassino. Una gara che ha come posta, ancora una volta, qualcosa di prezioso e inestimabile. Che stavolta è più di un’emozione.

I lettori di gialli aspettano la soluzione del mistero all’ultima pagina. In questa storia così coinvolgente, emozionante e impeccabile scritta da Patrizia Calamia bisogna aspettare addirittura l’ultima parola. Definitiva come una sentenza.

di Enrico Luceri 

 

 

 

 

 

Nella foto di copertina, l’autrice del libro con Enrico Luceri, noto scrittore di gialli.

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