Elsa Morante racconta la guerra dal basso: colpa e destino del giovane Gunther

«Un giorno di gennaio dell’anno 1941, un soldato tedesco di passaggio, godendo di un pomeriggio di libertà, si trovava, solo, a girovagare nel quartiere di San Lorenzo, a Roma». Si apre così La storia di Elsa Morante, su una semplice recluta dell’ultima leva di guerra giunta nella capitale dalla Baviera e in attesa di ripartire di per l’Africa. Un personaggio transitorio eppure fondamentale per le ripercussioni che avrà nella vita della protagonista Ida Ramaudo. La sua storia si inquadra tutta nel momento più basso e disperato della sua vita. Tutto ciò che è successo prima viene narrato in funzione del fatto drammatico che segna il punto di incidenza tra la sua esistenza e quella di Ida.

Il suo nome è Gunther, il cognome è sconosciuto. Elsa Morante ci sta presentando un personaggio pieno di contraddizioni, con una storia personale alle spalle e una profonda nostalgia di casa. Un mondo interiore controverso da identificare solo con il nome di battesimo che è simbolo privilegiato dell’identità individuale. Gunther, appunto. Attraverso la sua breve storia — e poi molto più diffusamente attraverso quella della famiglia di Ida — l’autrice ci racconta il dramma della Seconda Guerra Mondiale. Sceglie di partire dal basso, fa quello che Manzoni a suo tempo fece in I Promessi Sposi: raccontare la Grande Storia attraverso gli ultimi.  

L’appuntamento con il destino

La vicenda di Gunther mostra anche quanto una semplice coincidenza di luoghi e orari possa reindirizzare il percorso di una vita intera (quella di Ida). Il soldato capita nel quartiere di San Lorenzo per caso, mentre cerca un bordello. Sempre per caso entra nell’osteria in cui l’indifferenza degli ospiti lo spinge a ubriacarsi come atto di protesta. Infine, confuso, entra in un portone qualsiasi per accucciarvisi e dormire.

«In quel momento, qualsiasi creatura femminile capitata per prima su quel portone che lo avesse guardato con occhio appena umano, lui sarebbe stato capace di abbracciarla di prepotenza, magari buttato ai piedi come un innamorato, chiamandola: meine mutter!». E invece trova Ida che lo fissa con lo sguardo disumano della paura. Lei non riesce a vedere al di là della sua uniforme e delle sue frasi in tedesco, non coglie la disperazione che c’è dietro la sua andatura marziale. È ebrea da parte di madre e riconosce in lui un nemico quando ancora la Germania era un paese alleato. 

La colpa e l’orrore

Ubriaco di vino e di un profondo bisogno di affetto materno, Gunther cerca in Ida un rifugio. Davanti al rifiuto della donna arriva a compiere uno degli atti più deplorevoli che ci possano essere: «Il soldato risentì come un ingiustizia quel ribrezzo evidente e straordinario della sconosciuta signora. Non era abituato a suscitare ribrezzo delle donne, e d’altra parte sapeva […] di trovarsi in un paese alleato, non nemico. Però, mortificato, invece di desistere si accanì». Uno stupro che avviene sull’onda della rabbia e della mancanza di comunicazione. Lui mendica il suo amore, lei non comprende il significato delle sue parole e le scambia per una «formula gergale d’inchiesta o d’imputazione». Lui nel suo delirio pensa che lei si dibatta, lei è già fuori dalla sua coscienza per una crisi epilettica.

Elsa Morante narra il fatto con una capacità d’introspezione disarmante. Descrive le emozioni che si muovono dentro il soldato tedesco spiegando il suo gesto senza mai giustificarlo. Rancore e possesso, poi dolcezza e gratitudine. Nella perdita definitiva della sua innocenza Gunther mostra quanto possano essere devastanti gli effetti della solitudine su una personalità già fortemente segnata dal complesso edipico.

Il ragazzo-soldato

La leva, inizialmente accolta come una grande avventura, lo ha colto quando ancora non era pronto a lasciare il nido materno. Mentre si trova a Roma pensa alla sua Dachau come «l’unico punto chiaro e domestico nel ballo imbrogliato della sorte».

Come la sua anima, anche il suo piccolo villaggio d’origine è stato trasformato in una macchina di morte dalla Storia; quella stessa Storia che gli appare come una maledizione mentre raffronta la decadenza del quartiere di San Lorenzo con le gloriose notizie della Città Eterna apprese alla scuola preparatoria.

Rimorso

Il contrasto tra il soldato sofferente e il contadinotto con i polsi grossi e ingenui da plebeo si riconferma anche dopo aver l’aggressione. Svegliatosi come da un sogno mette al servizio della donna le sue abilità di elettricista e le aggiusta la spina di una lampada. «Questa operazione aveva per lui un duplice valore. Primo: gli offriva un’occasione, seppur minima, di spendersi per la vittima del suo delitto, il quale adesso, nel declinare della sbornia, principiava a rimorderlo e a sgomentarlo. E secondo: gli era pretesto a indugiare un altro poco in questa cameretta che oggi (sia pure a dispetto) lo aveva accolto ancora come una stanza umana».

Andandosene lascia a Ida anche un mazzo di fiori e le dice Mein ganzes Leben lang! (Per tutta la mia vita!). Una frase di figura che diventa verità perché il destino non gli darà il tempo necessario di dimenticarsi di lei. «Di lì a meno di tre giorni, il convoglio aereo su cui lo avevano imbarcato […] fu attaccato sul Mediterraneo. E lui era fra i morti». Così finisce la storia di Gunther e comincia quella di Giuseppe detto affettuosamente Useppe, il bambino che Ida darà alla luce nove mesi dopo.

Foto di skeeze da Pixabay

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