E adesso Mr. Trump?

La vittoria delle primarie del Partito Repubblicano statunitense da parte dell’imprenditore Donald Trump è diventata sicura mercoledì 4 maggio, quando i suoi due ultimi sfidanti – Ted Cruz e John Kasich – si sono ritirati,   giudicando il loro svantaggio ormai incolmabile.

La convention del partito a Cleveland, dovrà nominare (obtorto collo diciamo noi) “The Donald” Trump il candidato alla presidenza, per le  elezioni presidenziali dell’8 novembre del 2016.

Quindi Trump, osteggiato dal suo partito, giudicato negativamente dalle diplomazie occidentali, malvisto dall’elettorato femminile, e dalla minoranze afroamericane e “chicanos”  è riuscito alla fine a portare a casa il risultato, vincendo contro candidati “politici”. A questo punto tutti si chiedono: ma “The Donald” può realmente vincere le elezioni e battere Hillary Clinton?

Per rispondere a  questa domanda bisogna conoscere come si elegge il Presidente degli Stati Uniti.

In primo luogo i voti non vengono calcolati su base nazionale,  ma per ciascuno Stato. Ogni Stato assegna un certo numero di “grandi elettori”, i cui nomi vengono decisi dai responsabili dei partiti,  in numero uguale a quanti senatori o deputati ciascuno Stato invia la Parlamento.

Quindi siccome i senatori sono 100, e i deputati sono 435, più tre che vengono da Washington D.C. i “grandi elettori” saranno 538.

Il candidato che in uno Stato, ottiene un voto in più degli altri, avrà a suo favore tutti i “grandi elettori” di quello stato. Per essere eletti alla Casa Bianca bisogna averne a proprio favore 270. La metà più uno.

Quindi i cittadini americani eleggono, nell’”election day” sia i Senatori che i Deputati, ma anche i “Grandi Elettori”. Saranno questi ultimi una settimana dopo a ratificare la vittoria del Candidato alla Presidenza.

Occorre quindi calcolare quali sono gli Stati che negli ultimi anni hanno votato sempre per il candidato dello stesso partito, ovvero Democratico o Repubblicano, e quali quelli che invece che hanno cambiato orientamento più volte: sono i cosiddetti “stati in bilico”, o “swing states”.

Sono questi ultimi   gli Stati in cui i candidati concentrano più tempo e risorse, perché alla fine risulteranno decisivi

Secondo i sondaggi, Hillary Clinton e Donald Trump, sarebbero testa a testa in tre importanti swing states, i cosiddetti stati in bilico: Florida, Ohio e Pennsylvania.

Quindi Trump sembra non partire sconfitto in partenza, tutto dipenderà da quanto il Partito repubblicano, si impegnerà per lui, e quanto lui modificherà in qualche modo, le sue proposte politiche.   

Visto però che il programma elettorale di Trump, non piace all’establishment repubblicano, che lui riceva un grande supporto non è assolutamente certo. Ma in politica tutto è molto fluido.

di Gianfranco Marullo

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