“Dodici qualità per sopravvivere in tribunale”: Giacomo Ebner presenta il suo libro all’Aiga di Londra

Soho, quartiere di stradine strette e case basse, è noto per essere la Little Italy londinese. Non tutti sanno, però, che la originaria Little Italy occupava un’area chiamata, ancora oggi, Clerkenwell.

Delimitata, a grandi linee, dalle stazioni metropolitane di Angel, Chancery Lane e Old Street, qui, dalla seconda metà dell’800, si stabilirono gli italiani che emigravano in Gran Bretagna alla ricerca di miglior fortuna (perchè il mondo gira e continua a girare, dovremmo ricordarlo sempre). Era un’area povera e sporca, attraversata dal torrente Fleet che più che far scorrere acqua fungeva da fogna a cielo aperto. La comunità italiana, a Clerkenwell, era arrivata a contare quasi 2000 persone, una grande Little Italy che solo nella seconda metà del 900 si è spostata altrove, verso Soho ma anche in aree più decentrate, disgregandosi.

In questo antico e, in buona parte, perduto cuore italiano di Londra, le case sono rimaste basse, le strade spaziose ma non immense ed i marciapiedi larghi tanto da ospitare tavolini di bar e ristoranti. 

Sono ancora numerosi gli italiani che abitano qui o che qui hanno i propri uffici ed è nella Casa Italiana di Clerkenwell che l’AIGA, Associazione Italiana Giovani Avvocati, ha organizzato la presentazione del libro “Dodici qualità per sopravvivere in Tribunale (e non è nemmeno certo)”, scritto da Giacomo Ebner, magistrato che, per lungo tempo, è stato giudice anche presso il Tribunale di Roma, sezione penale.

Chiunque abbia lavorato a Piazzale Clodio, avvocato, cancelliere, magistrato o uditore, conosce Giacomo Ebner: ha avuto la rarissima capacità di saper familiarizzare con tutti e, allo stesso tempo, rimanere un giudice distaccato ed imparziale.

Chi non ha dimestichezza con l’ambiente forense, può fare fatica ad immaginare quanto avvocati e magistrati, che pure sono “due facce della stessa medaglia”, come ieri ha ricordato Giacomo, possano essere tanto separati tra loro: educazione, rispetto, saluti e due chiacchiere sì, ma sempre sotto l’egida di una rigorosa distanza. 

Giacomo Ebner

Giacomo Ebner ha avuto il grande merito di rompere questo protocollo ed ha saputo creare, attorno a sè, amicizie vere, quelle che non hanno nulla a che fare con la piaggeria (quanto piace agli avvocati la parola “piaggeria”!) verso il magistrato ma che nascono dal rispetto e dall’affetto verso l’uomo.

Figlio di Avvocato, Giacomo è stato a sua volta Avvocato. Rispondendo ad una domanda su quanto fosse stato utile, per la sua professione di Magistrato, essere stato un avvocato, ha detto

 “Fondamentale! D’altra parte” ha precisato, “ per un Giudice è molto importante aver ricoperto tutti i ruoli; se poi ha fatto anche l’imputato, allora è davvero completo.”

Il suo “Dodici qualità per sopravvivere in Tribunale” è il frutto di una osservazione attenta ed ironica della vita forense, descritta con garbo e simpatia, senza fare sconti a nessuno, avvocati o magistrati, ma sempre senza cattiveria o giudizio alcuno. Strano per chi, nella vita, ha fatto proprio il giudice ma Giacomo, come ha anche scritto, non ha mai giudicato le persone ma solo alcuni singoli atti. E ci vuole comprensione, sesta tra le qualità necessarie a sopravvivere in Tribunale, perchè “non c’è bisogno di puntare il dito ma di aprire la mano”. 

La mano generosa di Giacomo Ebner l’hanno conosciuta tutti coloro che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui; indimenticabile il cartello affisso alla sua porta, “Il giudice riceve sempre, preferibilmente il mercoledì mattina”. In un tribunale dove riuscire a parlare non con un giudice ma addirittura con un cancelliere può essere un’impresa, la sua disponibilità è stata strabiliante. Ed anche la sua modestia, la stessa che gli ha fatto dire, nel presentare il suo libro, “ovviamente le cose più belle non le ho scritte io”. Non è vero: lui non solo ha scritto cose bellissime ma fa anche divertire un mondo. 

Ma lo immaginate, a Licata, un giovane Pretore che, per evitare la furia di imputati condannati e delle loro famiglie, anzichè leggere le sentenze in aula, fa uscire tutti, tanto ormai è notte, sbarra le porte della pretura e proclama la sentenza dalla finestra del tribunale alla folla assiepata sotto? Lo immaginate, sempre quel Pretore, leggere la propria ordinanza in cui “Il Giudice, preso atto che a causa delle forti piogge il fiume Salso è esondato; considerato che l’acqua sta rapidamente entrando in aula; ritenuto che verosimilmente tra pochi minuti sarà impossibile proseguire i processi sul ruolo, Per Tali Motivi, Sospende l’udienza e rinvia per la trattazione delle restanti cause alle ore 12 presso il porto di Licata in Corso Umberto Argentina”? Pare sia stata un’udienza memorabile, quella tenutasi al porto.

Dove lo trovate un altro magistrato-scrittore così? Che riesca a mescolare leggerezza e serietà, professionalità e grande umanità e che sappia sempre cogliere il lato ironico e, soprattutto, autoironico della vita? Come quando racconta di quella volta, in aula,  in cui gli chiesero l’autografo perchè sembrava Gerard Depardieu. Oppure quando, dotato di una Doblò di servizio priva, per motivi misteriosi, dei finestrini posteriori, ha scritto al Ministero “E  guardo il mondo da un Doblò…” mi annoio un po!

Ma no, non ci si annoia leggendo le Dodici qualità: ci si diverte e si ride insieme della vita di Tribunale. 

E con il ricordo tenero di suo padre, che Giacomo ha condiviso con i suoi lettori e che chiude il suo libro, un po’ ci si commuove anche.

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