Deja vu e reminiscenze: teorie a confronto

dejavu2Quante volte ci siamo chiesti, esterrefatti: questo luogo l’ho già visto, questa esperienza l’ho già vissuta, ho già fatto questo dialogo? Si tratta di deja vu, affascinante e a tratti romantico fenomeno psichico, provato dall’80% delle persone almeno una volta nella vita.

Gli studiosi hanno tentato di dare una spiegazione scientifica e logica al fenomeno, i filosofi, uno su tutti Platone, ne hanno data una più metafisica, gli sciamani invece ritengono che sia un fenomeno ancestrale e naturale, insito nell’uomo.

Nonostante le ovvie differenze tra le teorie, un dato è comune a tutte: la mente umana è qualcosa di straordinario.

A destare curiosità è tuttavia una singolare contraddizione: mentre gli scienziati ad oggi non sono riusciti a conoscere e a controllare le potenzialità della mente, filosofi e sciamani sembrerebbero in grado di farlo concretamente.

A seguire le diverse teorie.

Scienza tradizionale. Falsa memoria nell’epilettico e falsa percezione nel soggetto sano.

Fino a poco tempo fa gli scienziati ritenevano che il deja vu fosse un’alterazione mnemonica, frutto di “cassetto della nostra memoria” in cui depositavamo un falso ricordo.

Lo studio e’ stato tuttavia smentito dall’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Cnr di Catanzaro e della clinica neurologica dell’università di Catanzaro.

I ricercatori, dopo aver confrontato il cervello di 63 volontari che soffrono di epilessia e 39 pazienti che avevano sperimentato il fenomeno, hanno affermato che nella maggioranza dei casi, il deja vu viene vissuto da pazienti affetti da epilessia del lobo temporale, a causa di un’alterazione ictale della memoria, mentre nei soggetti sani avrebbe origine da un “inganno emotivo”, dovuto forse a un’alterazione di un “network” talamo-corteccia temporale e in particolare dell’ippocampo.

In sintesi, chi vive un déjà vu, non richiama alla mente l’esperienza in sè, ma lo stimolo mnestico (precedentemente associato) di sensazioni e ricordi già vissuti, che hanno determinato una forte emozione. Questi ricordi, immagazzinati nel cervello sotto forma di coscienza, vengono poi richiamati in un nuovo contesto.

Filosofia: Conoscenza=Reminiscenza

Secondo il filosofo Platone, il ricordo, partendo dalle percezioni sensibili che sono semplicemente le immagini delle Idee, ci permette di riavvicinarci alle Idee stesse, che la nostra anima possiede antecedentemente alla nascita.

Queste idee, contemplate già prima di venire sulla Terra vengono infatti dimenticate entrando nel corpo.

Per provare la teoria, Platone aveva formulato il metodo della dialettica, che procedeva secondo due vie: la “sinottica” (che guarda insieme), che partendo dalla molteplicità delle cose sensibili sa pervenire all’unità dell’Idea che le raccoglie insieme e la “diairetica” (in greco: divisiva), che divide l’Idea generale nelle sue articolazioni particolari, fino a giungere all’ultima Idea non ulteriormente divisibile.

Insomma, secondo il filosofo la conoscenza è Anamnesi, cioè ricordo di verità da sempre conosciute dall’anima e che riemergono di volta in volta nell’esperienza concreta.

Il fenomeno delle reminiscenze e dei deja vu, e’ spiegato egregiamente da Platone nel Fedro.

“Le anime sono come cocchi alati che procedono in schiere dietro ai carri degli dèi: in questa loro processione riescono, più distintamente di altre, a scorgere le Idee che appaiono attraverso uno squarcio tra le nuvole, diaframma obbligato tra il mondo sensibile e quello soprasensibile. Quando queste anime precipitano nei corpi, reincarnandosi, dimenticano la loro visione delle idee e, usando i sensi, identificano la realtà col mondo sensibile”.

Oltre a dare una spiegazione del deja vu, Platone addirittura affermava di poter riportare a galla le reminiscenze attraverso l’arte della dialettica ed il dialogo con l’anima, poiché solo il filosofo dialettico ha visto e conosciuto le idee meglio degli altri.

Sciamanesimo: Le reminiscenze tra ricordi e simbologie

Una posizione più radicale della filosofia platonica, è quella dello Sciamanesimo, una cultura spirituale antichissima, in cui si fondono simbologie e miti ricorrenti.

Uno dei dogmi della dottrina è l’equilibrio dualistico Uomo/Natura. Ecco come viene spiegato il deja vu dagli sciamani.

L’esistenza di ogni essere umano è determinata da due anime: quella vitale (animale) e quella “razionale”, ovvero la coscienza. Quando un uomo muore, l’anima razionale abbandona il corpo, mentre quella animale persiste nelle membra per tornare in circolo in un secondo momento. Lo sciamano, quando cade in “trance”abbandona con la mente il corpo, per esplorare gli altri livelli del mondo e guardare con nuovi occhi alla realtà, allo scopo di cercare soluzioni ai problemi della sua comunità.

Si fa dunque simbolicamente “interprete” della natura per tradurre agli uomini ciò che può vedere durante le sue metamorfosi, in cui prende le sembianze di uno degli animali totemici della comunità.

Il suo distacco dalla realtà è dunque funzionale al raggiungimento di obiettivi concreti.

Nel nostro passato, quando eravamo in grado di comunicare con la natura e con gli animali, tali esperienze extracorporali erano innate. Le avremmo perse strada facendo, per colpa della cosiddetta “evoluzione” che ci ha sempre più allontanati dal nostro essere più primitivo e genuino.

Da qui, le reminiscenze e i deja vu, secondo gli sciamani. Per l’uomo comune, essi sarebbero un volo di ricongiungimento con la parte più arcaica della nostra vecchia esistenza.

Queste stesse reminiscenze ci portano talora a ricordare azioni passate e percezioni assolutamente dimenticate, inclusa la capacità di dialogare con gli animali, che gli animali hanno invece mantenuto per comunicare tra di loro.

“L’uomo lupo all’uomo” ci ha dunque condotti in questa nuova dimensione fatta di freddezza e lucido distacco, in cui la comunicazione sta diventando un “nulla” di fatto, persi come siamo dietro ad un mondo sempre più virtuale.

di Simona Mazza

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