Daisy Buchanan e l’imprevisto del telefono

daisy buchanan

«Il telefono squillò all’interno, sorprendendo tutti, e mentre Daisy scuoteva la testa con aria decisa verso Tom […] di fatto ogni argomento, svanì nell’aria». Siamo nel 1922 in un isola newyorkese di nome  East Egg. Nel giardino dei Buchanan è in corso una cena con ospiti la signorina Baker e il borsista Nick Carraway: cugino di secondo grado di Daisy Buchanan e narratore interno di Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald. L’atmosfera è molle e patinata, coronata da chiacchiere frivole e atteggiamenti sofisticati. A un tratto squilla il telefono. Un fatto inaspettato che  guasta irreversibilmente l’aria. 

La presenza scomoda del quinto ospite

Il maggiordomo va a rispondere ma è Tom Buchanan il destinatario della chiamata. Il padrone di casa si precipita a rispondere. La moglie tenta di mascherare l’inquietudine con una delle sue frasi vuote di senso, ma poi getta il tovagliolo sulla tavola e raggiunge il marito. La stizza di Daisy è forse l’unico sentimento autentico esternato dall’inizio della cena. Nick scopre la ragione del suo disappunto grazie alla signorina Baker, che rivela: «Tom ha una donna a New York […]. Potrebbe almeno avere la decenza di non telefonargli all’ora di cena». Con questa frase Scott Fitzgerald ratifica due fatti che fino a quel momento si erano affacciati solo sotto forma di vaghe illusioni. Il primo è che i Buchanan sono una coppia infelice, il secondo è che le fondamenta fragili del loro rapporto sono compensate da una robusta armatura di ipocrisia. 

Così, anche una come Daisy che sembra così conforme al modello di donna ribelle dei roaring twenties si mostra come una moglie che nasconde la polvere sotto il tappeto. A proposito della telefonata, agli ospiti dirà: «Non si poteva evitare!». Una giustificazione pronunciata con «allegria forzata». Ma il telefono continua a squillare, anche se tutti fingono di ignorarlo. Il rumore — con tutte le sue implicazioni — è ingombrante. Il fatto che Daisy e Tom cerchino di coprirlo con i loro discorsi apparentemente disinvolti sui cavalli e sul romanticismo non fa che rendere più imbarazzante l’intera situazione. Nick definisce il telefono che squilla come un «quinto ospite» capace di «insistenza stridula e metallica», ma la sua impertinenza è l’unico segnale di verità in un contesto completamente costruito. 

Armonie e disarmonie

L’ospite scomodo ha il merito (o il demerito) di trasformare un quadro bucolico e composto in un pugno di frammenti. Non a caso nella mente di Nick gli ultimi cinque minuti a tavola vengono registrati come «rotti frammenti». Quest’immagine si pone in netto contrasto con l’atmosfera paradisiaca che il narratore aveva trovato al suo arrivo a casa Buchanan. In quella meravigliosa cornice caratterizzata da spazi ampi, bianchi, luminosi e ariosi, tutto sembrava svolazzare insieme alle tende gonfiate dal vento; anche Daisy e la signorina Baker, che erano «entrambe vestite di bianco, e i loro vestiti erano increspati e fluttuanti come se fossero appena state risospinte in casa dal vento dopo un volo intorno alla casa». 

Nell’armonia dell’insieme l’unico elemento di disarmonia sembra Tom, che è pesante e borioso come un imperatore nel suo magnifico castello. Il rumore forte e subitaneo della porta che chiude di botto interrompendo il flusso d’aria nella stanza piena di vento suona come una bomba in confronto alla  voce bassa e musicale della moglie. Ma la profonda incoerenza e la tristezza che fin da subito Nick scorge sul volto luminoso di Daisy dimostrano che in fondo anche lei è un personaggio disarmonico. Nei suoi modi di fare frivoli si scorge un’inquietudine di fondo che allo squillare del telefono esplode, suscitando in lei una serie di «emozioni tumultuose». 

Confessioni al buio

Dopo la telefonata la superficialità dei gesti e delle parole che ha caratterizzato la cena fino a quel momento sfocia in un non sense caotico. Nella casa dei Buchanan si inizia a respirare un’aria quasi mortuaria: «Tom e la signorina Baker, divisi da parecchi centimetri di luce crepuscolare, s’avviarono lenti verso la biblioteca, come diretti a una veglia di un corpo perfettamente tangibile». Nick e Daisy si separano dagli altri e siedono nel portico principale, nel buio fitto che circonda il divano di vimini. Dopo tanta luminosa falsità, nell’oscurità la donna sente di potersi confessare. Rivela di essere diventata cinica e che quando è nata la figlia la prima cosa che le è venuta da dire è: «Sono contenta che sia una bambina. E spero che sia stupida – è la cosa migliore per una ragazza in questo mondo, essere una bella stupidina». 

La sua amarezza sembra autentica, ma poi si guarda intorno con atteggiamento di sfida e ride con «squillante disprezzo» dicendo: «Sofisticata — dio come sono sofisticata!». In questo caso la parola sofisticata è da intendere sia nel senso di ricercata che di artefatta. Risulta infatti che tutto quello che Daisy dice e fa non è altro che un artificio. Con la sua voce da incantatrice di serpenti esercita il suo fascino sulle persone, mira a conquistarne l’attenzione e la fiducia. Nick se ne rende conto solo quando la cugina smette di parlare e mostra il suo «sorriso studiato». In fondo Daisy non è troppo diversa da Tom, è solo più complessa. Partendo da un’«insincerità di base», la sua natura stratificata è destinata a arricchirsi di nuovi aspetti e alla fine saranno in molti a venirne travolti. Soprattutto Gatsby: l’uomo che vive in attesa di lei dall’altra parte del fiume.

Foto di ntnvnc da Pixabay

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