Coworking e Cobaby: come crescere il proprio bebè senza rinunciare al lavoro

attachmentPortare avanti la propria attività in uno spazio condiviso con altri liberi professionisti, mentre il proprio bebè gioca nella stanza accanto con bambini ed educatrici, proprio come in un asilo nido: sembra la trama di un film ma è una realtà che si sta diffondendo sempre di più, anche in Italia, finalmente. Il Coworking e il Cobaby (due termini non a caso presi in prestito dall’estero, dove le soluzioni per le neo-mamme che vogliono tornare a lavoro sono tante e a portata di mano), che rimandano alla stessa radice, quella della “condivisione”, rappresentano una nuova opportunità per mamme moderne che non vogliono rinunciare al proprio lavoro ma nemmeno al piacere e al diritto di stare con il proprio figlio piccolo.

Il Coworking consiste in spazi da ufficio condivisi, da prenotare e utilizzare secondo le proprie necessità: dalla scrivania alla sala riunioni alla stanza per le telefonate lunghe, aree necessarie per garantire la concentrazione quando si ha un’attività in proprio e che spesso a casa, con un bambino piccolo da accudire, non si riescono a ritagliare.

Il Cobaby è una sala attigua a quella del coworking, dedicata ai bimbi dai 3 ai 36 mesi e a disposizione per giornate intere o per qualche ora, dove educatrici professionali si dedicano ai piccoli con attività ludiche e di manipolazione, esattamente come in un asilo. Questo significa che a fine giornata lavorativa, al termine delle rispettive attività, mamma e bambino si ritrovano in corridoio e tornano a casa insieme, evitando traversate ufficio-nido nel traffico e ansie da ritardo.

Le attività sono nate alla fine del 2012 in Lombardia, una delle regioni più attente a offrire servizi adeguati alle donne che devono reinserirsi nell’ambiente lavorativo dopo la maternità, e si stanno diffondendo sempre di più (dopo l’apertura di “Piano C” a fine 2012, ad aprile è nata la nuova realtà “Arcamfactory”): da aprile sono previsti anche rimborsi e incentivi regionali a chi usufruisce di questi servizi, che prevedono anche l’acquisto di carnet per pagare qualcuno che, mentre la mamma lavora, si occupi della spesa o della lavanderia, proprio come nei paesi del nord-Europa.

Il problema più diffuso delle neo-mamme che desiderano tornare a lavoro è, infatti, proprio quello della disponibilità e del tempo: con gli orari lavorativi poco flessibili e orientati a giornate full time, le liste di attesa dei nidi comunali sempre piene, i nonni sempre più lontani e gli spazi degli spostamenti di decine di chilometri condizionati dal traffico, molte donne si scoraggiano all’idea di tornare a lavoro e di dover “parcheggiare” i propri bambini (spesso molto, troppo piccoli) in strutture non accreditate o di affidarli a baby sitter non qualificate, spendendo tanti soldi e vivendo con i sensi di colpa e la paura di averli abbandonati troppo presto.

Troppe donne in Italia si ritrovano a dover scegliere se fare la mamma o fare la lavoratrice, vivendo quel tipico senso di frustrazione legato o alla mancata realizzazione professionale, o al senso di colpa nei confronti dei propri figli, per un’assenza lunga e necessaria ma difficile da giustificare.

Eppure una ricerca del 2012 condotta dall’Università North Carolina sulle mamme lavoratrici (consultabile qui), rivela che le donne che lavorano part-time, e che quindi bilanciano adeguatamente lavoro e famiglia, sono più soddisfatte e serene nei confronti dei propri figli, poiché sentono sia di provvedere al loro sostentamento, sia di dedicargli abbastanza tempo e attenzione: purtroppo in Italia solo il 15,5% dei lavoratori ne usufruisce (e scommettiamo sul fatto che di questi, il 90% siano donne), e spesso lo ottiene al termine di lunghe e scomode trattative con il proprio datore di lavoro. L’Italia ancora oggi rappresenta il fanalino di coda nella lista dei paesi europei che prevedono il contratto part-time.

Intanto, in attesa che questa estenuante crisi termini e il mercato del lavoro riparta, rimettendo in moto una flessibilità vitale per le donne che devono coniugare lavoro e famiglia, servizi come il Coworking e il Cobaby vanno diffusi e incentivati, perché rappresentano non solo un investimento utile e produttivo per alleggerire la gestione di un’attività in proprio, ma anche una vera e propria “terapia della serenità” per le mamme sempre troppo divise tra volere e potere.

di Laura Celani

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