Conflitti relazionali pandemici interni e interplanetari

L’unico dato certo è che l’umanità è entrata ufficialmente nel “dopo” rispetto a un “prima” improvvisamente dissolto nel nulla; la base di partenza di ogni iniziativa presuppone infatti l’aggiramento basico della pandemia in corso nella faticosa attesa di soluzioni concrete a questo imprevedibile caso di rilevanza mondiale.

Segregati in casa da quaranta giorni e più, gli italiani – cittadini di un mondo definitivamente globalizzato dal Covid 19 – sono già cambiati, arrabbiati, preoccupati per l’imprevedibilità, anche relazionale, di un futuro dal panorama economico e confusi su questa “protezione” che da molti è vissuta come una “punizione”.

Esaurita infatti la fase ludica dei primi giorni, tra vecchie fotografie ritrovate, pranzetti prelibati tratti dal ricettario di famiglia e canzoni nostalgiche dai balconi, si è giunti ad un’esasperazione tale da essere infastiditi anche dalla casuale vista della dicitura “programma registrato prima dell’emergenza sanitaria”, stampigliata in alto a destra del televisore e che induce nervosamente ad afferrare il telecomando per cambiare subito schermata.

E allora, esaurito lo zapping sugli aggiornamenti con notizie purtroppo ancora sconfortanti, ecco che si ripiega su qualche vecchio film o su recenti commedie che peraltro vengono già percepite come una “ricostruzione di eventi storici” superati.

C’è forse da temere che si stia pericolosamente sottovalutando il danno psicologico che si sta diffondendo nella popolazione mondiale a tutti i livelli?

Sul piano strettamente relazionale, la prova di isolamento con limitazione assoluta di spostamenti abituali è di per sé inaccettabile, forse più da parte di chi vive in solitudine rispetto a coloro che convivono in coppia o con la famiglia; per contenere i temuti disagi, si ipotizzano infatti le intensificazioni di attività future specifiche (ma forse anche no!) come quelle di psicologi, avvocati e mediatori.

Ma il punto di osservazione sembra essere molto più delicato perché comunque le soluzioni pratiche saranno avulse dalle inevitabili modificazioni comportamentali di ogni singolo individuo di ogni età, costretto a sopravvivere suo malgrado – con stati di angoscia, frustrazione, stress, ansia, e insonnia e così via dicendo – nella improvvisa e involontaria mutazione del proprio atteggiamento emotivo verso chiunque, dal parente più prossimo all’amico più remoto.

Il fenomeno di distanziamento sociale in atto così serrato fa anche interrogare costantemente il giurista sulla legittimità costituzionale o meno di misure così restrittive verso i cittadini che sono stati privati (e che chissà per quanto tempo ancora) dei diritti fondamentali della persona, peraltro attraverso divieti varati con norme velocemente applicate per decreto, senza alcuna procedimentalizzazione legislativa come prevista in generale.

Sul punto del difficile coordinamento tra le libertà individuali e le “reclusioni” per evitare il contagio, i tribunali si sono peraltro già pronunciati su ricorsi volti a far caducare queste limitazioni, ma c’è costante unanimità nel decidere che il bene della salute e della vita rivestono priorità assoluta rispetto a qualsiasi attività umana, sia essa professionale (fatta eccezione per area sanitaria, di pubblica sicurezza, di approvvigionamento alimentare e trasposti), sportiva o ricreativa.

C’è anche chi ha tentato di ipotizzare una sorta di analogia tra lo “stato di guerra” previsto dall’art.78 della Costituzione italiana e l’attuale “stato pandemico”, quest’ultimo in realtà non previsto da nessun parte.

Conseguentemente, si traduce facilmente in polemica l’attitudine a procedere con scelte governative adottate giorno per giorno; ma come poter essere lungimiranti sul vano tentativo di arginare gli imprevedibili contagi e decessi pandemici quotidiani?

Come in una specie di fiction, gli abitanti delle regioni italiane vengono sottoposti a progetti ed ipotesi di confinamenti bilanciati senza coordinamento e riferimenti centralizzati, come se fossimo diventati di “Stati Uniti d’Italia”, talora utilizzati come “modello” dai cugini francesi, o snobbati dagli antipatici “olandesi” in questa squallida altalena di soluzioni finanziarie mal condivise in un’Unione Europea che si rivela impulsiva, campanilista e deludente.

Anche l’iperinformazione, spesso purtroppo mascherata da fake news (che ha reso necessaria la creazione di una apposita commissione d’inchiesta) complica enormemente il compito di chi governa e dirige la cosa pubblica, costretto a confrontarsi faticosamente con una realtà emergenziale anomala e con forze politiche di opposizione che, rivendicando ruoli istituzionali con istanze personalizzate, producono il pericoloso risultato di creare ulteriori complicazioni.

In questo feroce loop collettivo senza esclusione di scoop, anche le difficoltà individuali dei tanti (nessuno escluso) nel far fronte ai rischi di contagio, sono fonte perenne di pericolose polemiche informative generatrici di ulteriore panico sociale: ma se neanche la comunità scientifica dei virologi è in grado di dare risposte univoche, perché peggiorare l’alterazione psicologica di una collettività sfiancata sul piano economico e ansiosa per la sua stessa sopravvivenza?

La interminabile attesa di risposte rassicuranti che tardano ad arrivare non può e non deve essere viziata da derive complottiste tendenti a scardinare i contenuti delle notizie ufficiali perché di rischio di veder trasformare la pandemia in un’occasione di visibilità a futuri scopi elettorali è sotto gli occhi di tutti e sarà forse l’autocondanna di Donald Trump, che a novembre di quest’anno chiuderà la campagna elettorale nordamericana per le prossime elezioni presidenziali.

 Vero è, piuttosto, che la sperimentazione mondiale di matrice cinese (come a Whuan) della clausura obbligata senza termine costringe tutti a mutare l’approccio alle nostre relazioni interpersonali, ponendo quesiti inediti sul piano strettamente relazionale sui quali vale la pena di interrogarsi.

Non ci siamo mai chiesti, per esempio, la ragione per cui – differenza di oggi – le nostre nonne non erano affatto inclini agli abbracci e ai baci esagerati verso noi nipotini?  Liquidati come “anaffettivi” sulla base delle illuminate moderne teorie psicologiche, i nostri nonni erano in realtà sopravvissuti alla “febbre spagnola” che nel periodo intorno all’anno 1920 li costrinse, da bambini, a difendersi da questa terribile epidemia, con tanto di isolamento e mascherine sul viso indossate per lungo tempo.

La loro esperienza relazionale fu certamente condizionata da quella pandemia; è quindi possibile ipotizzare qualcosa di così diverso per il futuro dell’umanità di oggi, rispetto a quel che accadde e significò per loro?

Nel delirio opinionistico di tutti contro gli altri e viceversa anche per noia generale a cui si è costretti ad assistere, lascia sembrare che chiunque possa avere ragione e torto contemporaneamente in questa fase, ma la caduta continua in contraddizioni ideologiche senza fine e tristemente prive di una dialettica costruttiva è palesemente evidente.

Mascherata da retorica, con tutta probabilità, potrebbe trattarsi di enorme ed incontenibile paura, quella che tutti soffrono ma che nessuno ha davvero il coraggio di ammettere.

Del resto, i dati confermano che si continua a morire, i negazionisti sono stati costretti a ricredersi, lo stesso Boris Jonson è riuscito a scatenare ilarità, ammalandosi dopo aver terrorizzato gli inglesi sulla necessaria “perdita di cari” per sconfiggere il virus attraverso quel concetto di “immunità di gregge” che dimostrò al mondo di non sapere neanche lui stesso di cosa stesse parlando, ma spaventandosi di certo quando ha iniziato a temere per la sua fine che poi gli è stata miracolosamente risparmiata.

In sintesi finale, posto che il virus non viene volontariamente a sedersi a tavoli di trattative con capi di governo (anche se spesso appare trattato alle stregua di un leader  animato), o che si tratti di violenza in famiglia (pare che i dati siano in aumento peggiorativo), o di depressione da solitudine (siamo animali sociali e il contatto con gli altri è vitale) o di “bullismo istituzionale” (come è stato definito l’attacco del Governo alle opposizioni), questo piccolo assassino, invisibile e incomprensibile che uccide provocando una morte orribile, fa vacillare e mettere a serio rischio gli equilibri delle vite quotidiane di tutti gli abitanti del pianeta.

Ma un buon popolo, anche se psichicamente imploso, potrà certamente contare da domani stesso sul recupero di individui migliori, meno spudorati ma più igienizzati, meno festaioli ma più filosofi, meno tattili ma più telematizzati, meno affamati ma più colti in un ambiente sanificato da questo incredibile “fermo tecnico” generalizzato di tutti noi.

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