Con Licio Gelli scompare un certo tipo di Italia. Forse (Seconda parte)

gelliQuando, nel marzo del 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, si presentarono dal Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, con in mano la lista dei 962 nominativi aderenti alla P2, emersa nella perquisizione di Villa Wanda e degli uffici della fabbrica di Gelli “La Giole”, a Castiglion Fibocchi (AR), nell’ambito dell’inchiesta sul finto rapimento del finanziere Michele Sindona, presente nella lista, Forlani cadde dalle nuvole e chiese loro: “Perché siete venuti da me?”

I giudici gli fecero notare che la lista comprendeva anche tre ministri (giustizia, lavoro e commercio estero) e cinque sottosegretari del suo governo, oltre a 44 parlamentari, compreso il segretario politico del PSDI, i vertici dei servizi segreti e della Guardia di finanza, il direttore e l’editore del Corriere della Sera e il direttore del GR1, 208 ufficiali, 18 alti magistrati, 49 banchieri, 120 imprenditori e 27 giornalisti. Forlani sbiancò in faccia ancor più di quanto non lo fosse normalmente; il 21 maggio 1981 rese nota la lista e, cinque giorni dopo, fu costretto a dimettersi. Fu la fine del monopolio democristiano della Presidenza del Consiglio, perché il suo successore, Giovanni Spadolini sarà il primo laico dal 1945 a guidare una compagine governativa.

Nel frattempo, Licio Gelli – in possesso del passaporto diplomatico della Repubblica dell’Uruguay – si era reso latitante, lasciando i “fratelli pidduisti” Sindona e Calvi in balia della mafia e della malavita di varia estrazione che richiedevano la restituzione del denaro sporco che entrambi si erano impegnati a riciclare. Il primo morirà avvelenato nel carcere palermitano dell’Ucciardone; il secondo impiccato a Londra, sulle arcate del ponte dei Frati Neri.

Gelli fu arrestato a Ginevra solo il 13 settembre 1982, mentre cercava di ritirare decine di migliaia di dollari dal suo conto in banca ma le carceri svizzere, almeno per lui, non furono Alcatraz. Evase dopo soli undici mesi, per scomparire altri quattro anni. Il 21 settembre 1987, seraficamente, si costituì sorridendo alle autorità elvetiche, ma con un piano ben congegnato. La giustizia italiana che lo aveva inquisito per il crack del Banco Ambrosiano (Calvi), infatti, ne chiese l’estradizione che fu accordata dalla magistratura svizzera, ma solo per permettere a Gelli di deporre nell’ambito dell’inchiesta. L’11 aprile 1988 il maestro venerabile fu di nuovo libero di circolare in territorio italiano e poté rientrare a Villa Wanda. Subì allora il colpo più duro: la perdita della figlia Maria Grazia, deceduta dopo appena poche settimane dal suo rientro a Castiglion Fibocchi.

La Commissione d’inchiesta parlamentare sulle attività della loggia, definì la P2 «un complotto permanente che si plasma in funzione dell’evoluzione della situazione politica ufficiale»; la giudicò «responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale» della strage dell’Italicus; ne sottolineò l’«uso privato della funzione pubblica da parte di alcuni apparati dello stato» legati alla loggia. La magistratura, invece, fu di diverso parere, definendo la P2 un mero comitato d’ affari e assolvendo tutti gli imputati dal reato di cospirazione con verdetto diventato definitivo nel 1996.

Le vicende successive furono meno favorevoli all’ex maestro venerabile, sotto il profilo giudiziario. Nel 1996 ricevette la prima condanna definitiva per il depistaggio della strage di Bologna (10 anni). Il conseguente ordine d’arresto, però, fu dichiarato inapplicabile: il reato di non era tra quelli per cui era stata concessa l’estradizione dalle autorità svizzere. Il 22 aprile 1998 la Cassazione confermò la condanna a 12 anni per il crack del Banco Ambrosiano ma, il 4 maggio, Gelli è di nuovo irreperibile. In una perquisizione, gli agenti della Digos di Arezzo, frugando nelle fioriere di Villa Wanda ritrovano oltre 160 chili d’oro in barre e lingotti nascosti tra le foglie. Sono ancora quelli del famoso tesoro del Re di Jugoslavia (vedi prima parte)? Non si è mai saputo. La fuga di Gelli dura più di quattro mesi. Nuovamente arrestato, gli vengono concessi i domiciliari, che sconterà sino alla sua scomparsa di pochi giorni fa, senza aver passato una sola notte nelle patrie galere.

Con Gelli scompare un certo tipo d’Italia? Forse. Tra i suoi lasciti c’è il “Piano di rinascita democratica”, che redasse a metà degli anni settanta, insieme a Francesco Cosentino, tessera P2 e allora Segretario generale della Camera dei deputati. Il “piano”, tra le altre cose, prevedeva: la nascita di due partiti, l’uno sulla sinistra e l’altro sulla destra; il controllo di quotidiani e la liberalizzazione dell’etere televisivo, all’epoca prevista solo a livello locale; l’abolizione del monopolio della RAI e la sua privatizzazione; la ripartizione delle competenze fra le due Camere; la riduzione del numero dei parlamentari; l’abolizione delle province e della validità legale dei titoli di studio; la riforma della magistratura con la separazione delle carriere e la responsabilità del CSM nei confronti del Parlamento.

I primi punti del “piano” (bipolarismo, abolizione del monopolio RAI, controllo di quotidiani e liberalizzazione dell’etere) sono stati ampiamente attuate tra gli anni ottanta e novanta, in particolare sotto impulso del fratello massone, con tessera P2, Silvio Berlusconi. L’interessato ha più volte dichiarato di non aver fatto parte della loggia ma, per tali dichiarazioni, fu condannato (e poi amnistiato) per falsa testimonianza. Berlusconi, infatti, fu iniziato alla P2 dietro regolare presentazione del fratello Fabrizio Trecca, responsabile per il Lazio e del fratello Roberto Gervaso. Entrambi i suoi mallevadori hanno avuto spazio, negli anni, nelle sue reti televisive, così come i fratelli Maurizio Costanzo e Massimo Donelli. Altri “pidduisti”, come Fabrizio Cicchitto e Gustavo Selva sono stati poi deputati in Parlamento nel partito di Berlusconi.

Altri punti del piano, come la ripartizione delle competenze fra le due Camere, la riduzione del numero dei parlamentari e l’abolizione delle province, sono attualmente in corso di attuazione, dietro forte spinta di ampi settori dell’opinione pubblica. Stiamo diventando tutti “pidduisti”? Ai posteri l’ardua sentenza.

Gelli, nel 2003, in un’intervista al quotidiano “La Repubblica”, rilasciò dichiarazioni molto soddisfatte, al limite del trionfalismo, sul bilancio della sua vita: « Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa».

di Federico Bardanzellu

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