Comunali 2016 con il senno di poi

errori PDCon il senno del poi, tentiamo di capire quali siano stati gli errori del Partito democratico, quanto meno, nella città dove la disfatta è stata più sonora, cioè: Roma.

L’errore principale è stato quello di aver affrontato le elezioni con un approccio “milanocentrico”: si è pensato di aver di fronte un unico avversario, il centro-destra, con un’anima moderata e non estremista. Lo stesso errore, a Roma, lo ha fatto Berlusconi, quando ha pensato che, presentando un candidato moderato (prima Bertolaso e poi Marchini) sarebbe riuscito ad assorbire la “destra sociale” e giocarsela al ballottaggio con il candidato democratico. Ma Roma non è Milano, dove il “moderato” Parisi ha conteso sino all’ultimo voto la vittoria al democratico Sala e il M5S non è andato oltre il 10%.

La destra romana è radicata da tempo su posizioni estreme e non moderate, ed ha quasi sempre espresso la candidatura a Sindaco del centro-destra, nell’ultimo ventennio (Borghini/Bontempo nel 1998; Alemanno nel 2006, 2008 e 2013). L’unico moderato, Tajani (2001), è riuscito a perdere anche quando Berlusconi, a livello nazionale “asfaltò” Francesco Rutelli, velleitariamente candidatosi premier. Fatto sta che è successo il contrario di quanto creduto da Berlusconi e dal PD: è stata la “destra sociale” (Meloni) ad assorbire, in parte, i voti della destra moderata; gli altri sono confluiti direttamente sulla candidata del M5S e, al ballottaggio, anche i rimanenti che al primo turno avevano votato Meloni.

L’errore di prospettiva del PD romano ha, però, il contraltare in quello analogo del Segretario Nazionale del partito e Presidente del Consiglio, Matteo Renzi: cercare voti al centro dello schieramento politico. Il voto romano, infatti, ha dato l’impressione che, su questo fronte, Renzi e il PD abbiano già raschiato il barile. Oltre a ciò, anche a livello nazionale, non sembra che ci si possa spingere. Nel frattempo, il PD ha continuato a perdere voti a sinistra; tali consensi, visto il mediocre risultato ottenuto da Fassina e da Sinistra Unita e il numero sempre più alto di astensioni, sono andati in parte a irrobustire il pacchetto di voti della Raggi, in parte ad  arricchire quello, ancor più numeroso, degli astenuti.

Perché Roma non è come Milano? Perché a Roma c’è stata l’inchiesta “mafia capitale” e, con il senno del poi, si doveva capire che su un elettorato “rugantino” e “fumantino” come quello romano, l’unico argomento che avrebbe fatto presa era quello di far completamente “piazza pulita”. Lo ha compreso la Raggi e, infatti, su ciò ha costruito tutta la sua vittoriosa campagna elettorale, troncando sul nascere ogni discussione concernente eventuali programmi di governo amministrativo.

Tale tematica è stata talmente dirimente che nessuno, tra i militanti PD, se l’è sentita di ripetere le argomentazioni trite e ritrite dell’ex Sindaco Marino e cioè che “mafia capitale” sia nata ai tempi di Alemanno: i vari Coratti, Ozzimo, Odevaine e così via, tutti coinvolti in “mafia capitale”, non erano esponenti del Partito democratico romano, ai tempi della Giunta Marino? Né alcuno ha avuto l’ardire di rivendicare al PD il merito di aver “cacciato” Marino e di aver rimesso ogni verdetto al voto popolare di giugno 2016. Forse, con il senno del poi, tale argomento avrebbe spostato di qualche virgola una sconfitta, apparsa oggi inevitabile sin dall’inizio.

Il PD ha ritenuto erroneamente sufficiente l”azzeramento” dei vertici di tutte le sezioni romane, effettuate da Fabrizio Barca. Ma tale operazione ha coinvolto solo la dirigenza di partito, mentre i 15 Presidenti Municipali, tutti del PD, son rimasti in carica sino a pochi giorni fa e, forse (ancora con il senno del poi), sarebbe stato meglio invitarli a dimettersi, insieme a tutti i Consiglieri municipali. Così come le candidature per il Consiglio comunale hanno riguardato “i soliti noti” e, comunque, un “solito noto” è sembrato anche il candidato Sindaco emerso dalle elezioni primarie. Oltre a ciò, i nomi dei possibili assessori, pronunciati da Roberto Giachetti erano, in parte, quelli della squadra di Marino (qualcuno, addirittura, un ex-ministro del governo Prodi!). Insomma, anziché “rottamato” il PD si è presentato agli elettori con una squadra che è sembrata la solita “minestra riscaldata” ed è stato duramente punito.

Il secondo errore di fondo è stato quello di giudizio sul Movimento 5 Stelle, nel suo complesso ed è un errore che, anche in questo caso, deriva da una carenza di visione prospettica della politica nazionale della dirigenza partito democratico. Il M5S fonda il suo consenso sull’onda del successo mediatico conseguito, nel XXI secolo, dal  web e dai social network. Un successo straripante che ha ormai messo in crisi quello analogo, ma che sembrava imbattibile, delle reti televisive.

Di fronte a tale tsunami, figuriamoci quanto possono far presa, oggi, i comizi politici o le riunioni di sezione! Persino le “primarie”, un elemento innovativo che, solo pochi anni fa, furono la chiave del successo del Partito democratico, sono apparse obsolete, di fronte alle consultazioni via internet del M5S per l’individuazione dei candidati. Entrare nel merito della loro regolarità, poi, appare un’eresia: web uber alles è il messaggio mediatico di oggi e del prossimo futuro.

Con il senno del poi –  forse – se il PD avesse messo in soffitta le primarie e individuato i candidati tramite web, avrebbe ottenuto una reale “rottamazione” del partito romano e messo in lista “facce nuove”, sterilizzando l’unico argomento messo sul piatto dal M5S: l’esigenza di far “piazza pulita”. Solo in tal modo avrebbe potuto riportare al voto i delusi della vecchia politica che continuano ad abbandonarlo, astenendosi. Non lo ha fatto e si è presentato – coraggiosamente sin che si vuole – ma con facce che non hanno convinto.  Se non lo farà nel prossimo futuro, il cronista – stavolta, con il “senno di prima” – ricorda al Presidente-Segretario un antico proverbio latino: “Errare è umano. Perseverare è diabolico”!

di Federico Bardanzellu

Fonte foto: ItaliaOra

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