Come si diventa Santi

Vi siete mai chiesti come si diventa santi? 

I santi fanno i miracoli, definibili come accadimenti inspiegabili dalla scienza, ma i miracoli sono sufficienti per essere dichiarati santi? Ebbene no: l’inchiesta che conduce alla santificazione è un articolato processo con tanto di giudici, avvocati, notai, esperti teologi e scienziati e nel corso del quale si raccolgono prove documentali e testimoniali. Si diventa santi non prima che siano decorsi 5 anni dalla morte e solo dopo un’accurata indagine sulla vita del “candidato” e sull’influenza che essa ha ancora nel presente: i miracoli avvenuti su sua intercessione dopo la sua morte.

Non è stato sempre così

Prima del Concilio di Trento (1545-1563) si diventava “santi subito” o meglio a “furor di popolo” senza alcun processo. È ciò che accadde a San Gerardo Della Porta, vescovo di Potenza, canonizzato da Papa Callisto II in virtù dei fatti miracolosi dovuti ai suoi interventi taumaturgici, come la restituzione della vista ai ciechi. 

Con la promulgazione delle Decretali di Gregorio IX (1227-1241) il 5 settembre 1234, la canonizzazione pontificia divenne l’unica forma di canonizzazione nella Chiesa, frutto dell’opera giuridica dell’allora generale dei padri domenicani Raimondo da Penyafort (ϯ 6 gennaio 1271). La prima fu quella di San Francesco di Assisi, morto nel 1226 e canonizzato meno di due anni dopo con la formula più antica che si conosca e che, con alcune varianti ed integrazioni è usata anche oggi:

«A lode e gloria dell’onnipotente Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, e della gloriosa Vergine Maria, e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e ad onore della Chiesa Romana, abbiamo decretato che il Beatissimo Padre Francesco, che il Signore glorificò in cielo e noi veneriamo con debito ossequio sulla terra, con il consiglio dei nostri fratelli e degli altri Prelati della Chiesa, sia inserito nel catalogo dei santi e sia celebrato il giorno festivo della sua morte»” [1].

Anche Sant’Antonio da Padova, morto nel 1231, fu dichiarato santo “subito” nel 1232, per la miriade di miracoli attribuitigli dal popolo. 

Questa prassi fu seguita almeno per tutto il Medio Evo e fu per volere di Papa Sisto V che, negli anni dal 1585 al 1590, nel riformare l’intera Curia Romana, venne istituita la Congregatio pro sacris ritibus et caeremoniis, espressamente competente per la canonizzazione; venne, altresì, predisposto il registro di tutte le cause di beatificazione e canonizzazione, l‘Index ac status causarum

Circa 50 anni dopo, nel 1634, con la Caelestis Jerusalem cives  Papa Urbano VIII costellò il processo per la canonizzazione di rigide regole e ribadì che nessun “Servo di Dio” (così viene chiamato il fedele per cui è stato avviato il processo) potesse ricevere pubblico culto se non dopo una esplicita pronuncia della Santa Sede.

In questo embrionale processo era presente il cosiddetto “avvocato del diavolo”, incaricato di verificare la realtà della santità e di argomentare per confutarla.

La vera e propria codificazione in materia, però, dovette attendere l’opera di Benedetto XIV tra il 1740 e il 1758: il “maestro delle Cause dei Santi” racchiuse nel De servorum Dei beatificazione et beatorum canonizatione – opera paragonata da Pio XII alla Summa Theologica di San Tommaso d’Aquino per la completezza della trattazione – tutte le regole per il processo di canonizzazione. 

Con modifiche e variazioni, queste norme giunsero fino al pontificato di Pio XII il quale le rivisitò totalmente nel 1948 alla luce del primo Codex Iuris Canonici del 1917: fu lui ad istituire la Commissione medica per l’esame delle guarigioni miracolose ed a tracciare una netta distinzione tra il ruolo dei medici e quello dei teologi. 

Si deve, infine, a San Giovanni Paolo II l’ultima riforma che ha semplificato e reso più snella la procedura di beatificazione e canonizzazione, riducendo l’importanza dei miracoli ed incentrando l’attenzione del processo sulla santità di vita del Servo di Dio.

La Costituzione Apostolica Divinus perfectionis Magister, promulgata dal Santo Padre Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983, contiene le norme fondamentali e stabilisce come e perché la Chiesa svolga questo processo di “discernimento circa l’azione dello Spirito Santo fra i fedeli per condurre l’uomo verso la casa celeste”[2]. Come a dire che è l’intervento dello Spirito Santo, nel mondo, che individua quanti siano dotati di questo quid pluris che conduce direttamente in Paradiso. 

E vediamo come si arriva alla meta al giorno d’oggi

Il processo di canonizzazione consta di due fasi: la prima si svolge davanti al Vescovo del luogo ove il candidato è morto, regolamentata dall’Istruzione Sanctorum Mater del 2007 e volta a raccogliere le prove; la seconda avviene davanti alla Congregazione delle cause dei Santi, cui seguirà la santificazione ad opera del Pontefice. 

L’inchiesta diocesana è strutturata come un vero e proprio processo ed è paragonabile alla fase istruttoria di un giudizio: l’indagine investe l’eroicità delle virtù, lo stile di vita al servizio di Dio, il martirio del Servo di Dio, oppure un miracolo avvenuto grazie all’intercessione del futuro santo, sollecitato dalla preghiera. Si tratterà di esaminare prove documentali e testimoniali e, nel caso del miracolo, prove scientifiche. Per questo si sono accorciati i tempi a 5 anni dalla morte, per poter avere testimoni oculari ancora in vita. 

Come si inizia? Un gruppo di persone, o anche un singolo, convinti della santità del candidato, sarà l’“attore” e verrà patrocinato da un rappresentante, il “postulatore”: è lui il vero incaricato della parte operativa dell’inchiesta ed è lui che interloquisce con il Vescovo. L’attore si occuperà di fornire i mezzi, soprattutto economici, alla causa. Occorre, infatti, “sponsorizzare” il futuro santo attraverso la divulgazione della sua immagine e la conoscenza delle sue opere, affinché alla fama si aggiungano eventuali guarigioni miracolose (i miracoli, in effetti, sono quasi guarigioni richieste pregando). Quando sui banchi delle chiese si trovano piccoli opuscoli che raccontano della vita di qualcuno o immaginette di persone la cui esistenza è stata dedicata a Dio, quelli sono il mezzo per “sponsorizzare” un futuro santo.

Tornando all’inchiesta, il Vescovo ne dà notizia alla Congregazione delle cause dei santi e consulta i Vescovi delle diocesi vicine. Dopo avere ottenuto il consenso da ambo le parti, nomina una commissione storica composta da studiosi incaricati di raccogliere e verificare i documenti relativi al candidato (scritti, discorsi, ecc.), per ricostruirne la vita. È da questo momento che il candidato assume l’appellativo di “Servo di Dio” e il Vescovo nomina due sacerdoti: il primo è un delegato che agisce a suo nome, mentre il secondo è il “promotore di giustizia”, ossia l’antico “avvocato del diavolo”. Tutti agiscono in nome della verità: non si tratta, infatti, di un processo a parti contrapposte ma di un lavoro comune diretto a verificare se il Servo di Dio possa o meno diventare santo. 

L’istruttoria è volta ad accertare l’eroicità delle virtù del Servo di Dio, cioè se le azioni compiute in vita siano state straordinarie o, più semplicemente, se il fedele abbia agito con generosità ed amore estremi verso Dio e il prossimo. 

Esaurita questa fase, se secondo il Vescovo il candidato è degno di essere santo, gli incartamenti giungono a Roma dove si apre la procedura davanti alla Congregazione e dove, con decreto papale, il Servo di Dio diventa Venerabile. Da qui, se martire sarà subito Beato; diversamente, la beatificazione richiederà il riconoscimento di un miracolo avvenuto dopo la morte, grazie alla sua intercessione. 

Da questo momento, il Beato è degno del culto pubblico ma occorre l’accertamento di un secondo miracolo, successivo alla beatificazione, perché possa essere canonizzato e riconosciuto dalla Chiesa come Santo.

Queste le regole giuridiche

A prescindere dalle indagini, dai miracoli, dalle preghiere, dai postulatori e dagli esperti teologi, però, dovremmo ricordare il pensiero di Papa Francesco: ha parlato di una santità della “porta accanto” fatta di uomini e non di super eroi, di lavoro per il benessere di tutti, di amore e di carità. Nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate del 19 marzo 2018, il Santissimo Padre ha affermato che «I santi che sono già al cospetto di Dio» ci «incoraggiano e ci accompagnano» ma ha aggiunto che la santità cui Dio chiama è quella dei «piccoli gesti» quotidiani, tante volte testimoniati «da quelli che vivono vicino a noi», la «classe media della santità».

Per questo tipo di santità non occorre arrivare in Congregazione, non servono opuscoli o postulatori: tutti possiamo diventare “santi” anche solo sorridendo agli altri dietro una mascherina. 


[1] Benedetto XIV, De servorum Dei beatificatione, Lib. I, cap. XXXVI, n. 23. Il testo originale latino è così formulato: «Ad laudem et gloriam omnipotentis Dei Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, et gloriosae Virginis Mariae, et Sanctorum Apostolorum Petri et Pauli, et ad honorem Ecclesiae Romanae, Beatissimum Patrem Franciscum, quem Dominus glorificavit in caelis, debito in terris obsequio venerantes, de consilio Fratrum nostrorum et aliorum Ecclesiae Praelatorum in catologum decrevimus Sanctorum adnotandum, et festum diem obitus eius celebrandum».

[2] Le cause dei Santi, Congregatio de Causis Sanctorum, a cura di Vincenzo Criscuolo – Daniel Ols – Robert J. Sarno, terza edizione maggio 2014, Libreria Editrice Vaticana, pag. 250  

Foto di bernswaelz da Pixabay 

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