Cinquant’anni anni fa ci lasciava Primo Carnera

IMG_6931E’ passato mezzo secolo da quando, il 29 giugno 1967, il leggendario Primo Carnera, unico italiano a conquistare la cintura mondiale unanimemente riconosciuta dei pesi massimi di pugilato, chiudeva gli occhi per sempre, a soli sessant’anni d’età. Era tornato in Italia da poco più di un mese, ammalato di cirrosi epatica, proprio per morire nella sua terra natia.

Quando scese dalla scaletta dell’areo, ripreso dalle telecamere RAI, fu uno shock per il pubblico italiano rivederlo con il volto scavato e ormai fisicamente l’ombra di se stesso. Ma il campione aveva già scelto il luogo dove lasciarci, Sequals, il paese friulano dove era venuto al mondo e, forse, anche la data: esattamente il giorno in cui trentaquattro anni prima si era laureato Campione del mondo.

“Una storia d’altri tempi, da prima dei motori…”

La storia d’altri tempi – come direbbe il cantautore – del “gigante di Sequals” ha inizio nel 1906: una storia di povertà, di fame e di privazioni e di quando erano gli italiani a migrare all’estero, per sfuggire alla miseria. Nel 1915, suo padre, un mosaicista che, per tirare a campare, aveva fatto la spola tra l’Italia e la Germania, fu chiamato alle armi per combattere la “Grande guerra”; e, all’epoca, quando il capofamiglia veniva arruolato, le famiglie rimanevano senza sostentamento.

Primo fu allora mandato in Francia, da uno zio che gli trovò un lavoro in cantiere, come apprendista carpentiere. Nel 1925, un circo fece sosta nella cittadina dove il giovane viveva. L’impresario lo notò tra la folla degli spettatori e fu impressionato dalla sua corporatura imponente; gli propose di entrare nella compagnia come fenomeno da baraccone, con il nome di Juan lo spagnolo. Primo accettò.

La montagna che cammina

E’ il caso di fare una precisazione sull’altezza leggendaria del “gigante”. Carnera era altissimo, molto più della media dell’italiano dell’epoca, ma non superava i due metri. La misurazione ufficiale a cui fu sottoposto anni dopo in America si ferma a 1 metro e 97 cm e ½. Che tale misurazione fosse esatta è dimostrato dal filmato degli incontri sostenuti con Ray Impelletiere (202 cm) e con Victorio Campolo (205). In entrambi i casi si nota che il suo avversario sia leggermente più alto.

Carnera possedeva tuttavia due spalle da culturista che, unite, all’altezza, facevano veramente impressione e, soprattutto, era dotato di un “allungo” di braccia incredibile: 216 cm, superiore anche a quello di Sonny Liston, l’avversario di Clay, che ne contava 213! Il passo da fenomeno circense a quello di pugile fu breve per Carnera. Ingaggiato da tale Leon See, il 12 settembre 1928 debuttò sul ring parigino come professionista: vinse per KO alla seconda ripresa.

Carnera era ingenuo e l’ambiente della boxe internazionale dell’epoca simile a quello delle corse dei cavalli. Gli impresari si mettevano d’accordo su chi dovesse vincere e su quale pugile puntare. Carnera era forte ma la regolarità di qualche incontro dell’epoca desta dubbi. Tale fama lo accompagnò addirittura nel primo incontro che sostenne, a Milano – con passaporto francese – quando fu fischiato dal pubblico pur avendo vinto ai punti un match che non era certo più “truccato” di altri.

Un paio d’anni dopo, i suoi manager decisero che era venuto il momento di tentare oltre Atlantico, dove si allestivano i combattimenti più fruttuosi. Carnera fu accompagnato da un forte battage pubblicitario, tanto da essere soprannominato “la montagna che cammina”. Vinse la quasi totalità degli incontri, qualcuno lo perse; accettò di riattraversare l’Atlantico per affrontare, a Barcellona, l’idolo locale Paulino Uzcudum e, di fronte a 90.000 spettatori lo sconfisse largamente ai punti, dimostrando di non essere proprio un brocco.

Quando tornò negli Stati Uniti, gli fu organizzata una specie di “semifinale mondiale” contro tale Jack Sharkey, che voleva guadagnarsi la chances per combattere per il titolo. Carnera perse ai punti, dopo essere finito al tappeto sino al conto di otto. Qualche mese dopo, Sharkey riuscì nel suo intento di indossare la cintura di campione del mondo e impose alla federazione che il nome del suo sfidante doveva essere designato da un incontro tra Carnera ed Ernie Shaaf, un pugile di cui lui era addirittura procuratore.

Il 10 febbraio 1933, alla 13a ripresa, Carnera mise Schaaf al tappeto due volte e, la seconda volta, il povero avversario non si rialzò più. Trasportato privo di conoscenza all’ospedale, morì per emorragia cerebrale. Il “gigante”, tormentato dai dubbi decise di lasciare la boxe ma, poi, fu convinto/costretto a risalire sul ring: c’era in palio la cintura mondiale e non poteva ritirarsi dalla lotta.

L’idolo delle folle

IMG_6932Il 29 giugno successivo, al Madison Square Garden di New York, Carnera mise al tappeto Jack Sharkey – favorito dai pronostici – e “primo” italiano anche in ciò, conquistò il titolo mondiale dei pesi massimi. Il suo “ritorno” in Italia fu trionfale. Benito Mussolini lo fece affacciare al balcone di Piazza Venezia, in camicia nera e recitare slogan favorevoli al regime.

Il 22 ottobre dello stesso anno gli fu allestito un incontro in Piazza di Siena, anch’esso alla presenza del duce, nuovamente contro lo spagnolo Paulino Uzcudum. In palio sia il titolo mondiale, in possesso di Carnera, che quello europeo che lo spagnolo, nel frattempo, aveva conquistato. L’italiano vinse chiaramente ai punti aggiudicandosi anche la cintura europea. Con l’occasione, gli venne anche attribuito il titolo di Campione italiano “ad honorem”.

Tornato in America e, dopo aver difeso vittoriosamente un’altra volta il titolo, lo mise in palio contro Max Baer, un pugile ebreo-statunitense che alternava il ring con il set cinematografico. I due erano amici, tanto che Baer aveva già fatto recitare Carnera nel suo ultimo film: “l’idolo delle donne” ed entrambi avevano già combattuto per finta davanti alle cinepresa (vittoria per Baer).

L’incontro “reale”, il 14 giugno 1934, fu sconcertante. Forse Carnera avrebbe perso comunque ma l’andamento del match fu assolutamente sfortunato per il pugile italiano. L’arbitro, infatti, non si dimostrò all’altezza della situazione, non applicando né la regola del conteggio, agli atterramenti, né quella di allontanare il pugile autore degli stessi nell’angolo neutrale. Il risultato fu una specie di incontro di catch, dove, in alcuni casi, entrambi i pugili finirono a trascinarsi per terra.

L’episodio decisivo, comunque, si ebbe già alla prima ripresa, quando Carnera fu spedito al tappeto, procurandosi una slogatura alla caviglia (che poi si rivelò essere una frattura) che lo condizionò per il prosieguo del match. Menomato e atterrato per altre dieci volte, ma mai arreso, l’arbitro fu costretto a interrompere l’incontro all’11° round, attribuendo vittoria e titolo mondiale allo sfidante, per knock out tecnico.

Il successo nel wrestling e il ritorno in Italia

IMG_6930Successivamente, Carnera tentò di rientrare nel giro della grande boxe ma scelse male l’avversario: tentò contro l’astro nascente Joe Louis, forse il più grande pugile di tutti i tempi, insieme ad Alì e a Marciano e fu sconfitto alla sesta ripresa, ancora per knock out tecnico.

Nel dopoguerra, ultraquarantenne, si dedicò al wrestling, ottenendo addirittura 321 vittorie consecutive. Nel 1957, a cinquant’anni, divenne anche campione del mondo di una delle tante federazioni mondiali di wrestling, battendo un “omone” di 182 chili. Poi aprì un ristorante e un negozio di liquori; apparve in alcuni film come avversario di King Kong e, addirittura, di Totò. Infine, il triste ritorno in Italia.

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