Caso Marò: le dimissioni di Terzi

terzi-resigns-italyIl Ministro degli Esteri Giulio Terzi ha rassegnato le sue dimissioni: “ la mia voce è rimasta inascoltata. Mi dimetto perché per 40 anni ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perché solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie. Saluto con un sentimento di profonda partecipazione e ammirazione i marò Latorre e Girone. Ancora ieri le loro parole hanno dato uno straordinario esempio di attaccamento alla patria”.

L’intervento di Terzi spiazza tutti: il ministro infatti, fino alla comunicazione aveva sempre difeso le scelte fatte dalla Farnesina e dal governo.

Non sono arrivate invece le dimissioni di Mario Monti e dell’ammiraglio Gianpaolo Di Paola, il ministro della Difesa, nonché candidato alla guida di Finmeccanica, nonostante Terzi abbia fatto rivolto un invito di correità, sia all’intero governo, sia ad essi.

Di Paola ha anzi puntualizzato “Il ministro Terzi ha riferito i fatti ,e su questo siamo d’accordo. Io mi riferisco ai fatti e non alle valutazioni espresse dal ministro Terzi, che invece non sono quelle del governo”. Poi continua “ sarebbe facile oggi lasciare la poltrona, che comunque a breve lascerò, al nuovo ministro che arriverà. Sarebbe facile, no cost, ma non sarebbe giusto e non lo farò. Non abbandonerò la nave in difficoltà con Salvatore e Massimiliano a bordo, fino al mio ultimo giorno di governo”.

L’annuncio delle dimissioni è arrivato proprio durante un suo intervento alla Camera, dove era stato chiamato con Di Paola per riferire della vicenda dei due marò prigionieri in India.  Terzi ha esplicitamente spiegato che il gesto è riconducibile alla sua contrarietà sulla riconsegna dei marò agli indiani.

La sua dichiarazione di fatto rimanda le accuse di “abbandono” ad altri, ovvero Monti e Di Paola, i quali tuttavia non danno segni di cedimento, sebbene su di loro gravi il peso della  responsabilità di una trattativa mal gestita.

Ovviamente le responsabilità non sono solo di Terzi e l’onorabilità del Paese di cui parla il ministro, è stata calpestata senza destare imbarazzo ed è su questo punto che il ministro insiste: “ Tutte le istituzioni erano informate e d’accordo sulla decisione di trattenere in Italia i marò”. Poi aggiunge “ il 20 marzo all’approssimarsi della data di rientro dei due marò da New Delhi arrivano accenni di disponibilità a risolvere la controversia in tempi brevi, a patto che il rientro avvenisse entro il 22 marzo. Le rassicurazioni indiane sarebbero state giudicate idonee dal sottosegretario agli Affari Esteri Steffan De Mistura.

Terzi afferma poi di aver chiesto “rassicurazioni” alla presenza dei ministri della Giustizia e Difesa e che di ciò era stata informata anche la presidenza del consiglio. Poiché tuttavia tali rassicurazioni non erano arrivate, si era opposto a rimandare i militari in India.

Il caso marò in realtà è molto complesso e si cela dietro codici e codicilli di difficile interpretazione.

Proviamo ad analizzare fatti e legislazione:

Il 15 febbraio 2012 i due ufficiali Girone e Latorre sparano contro il peschereccio indiano St. Antony uccidendo due pescatori.

L’india, stando alle parole di Terzi, aveva inizialmente ammesso che l’Enrica Lexie con a bordo i militari, si trovava nelle acque internazionali, ma tale affermazione  non risulterebbe in alcuna dichiarazione ufficiale indiana, né tantomeno nella sentenza pronunciata dalla Corte suprema di Kerala il 18 gennaio, dove si parla di “acque territoriali” e non internazionali.

Terzi riferisce inoltre che il 18 gennaio, la Corte suprema aveva concordato sul fatto che fosse necessaria la risoluzione del caso in un contesto internazionale, invece nella sentenza è stata confermata la giurisdizione temporanea all’India, dando altresì il compito alla Corte di pronunciarsi e invitando la difesa dei marò alla massima collaborazione, in virtù dell’art 100 della Unclos.

La petroliera italiana, secondo le rilevazioni satellitari, si trovava a 20,5 miglia dalla costa di Kerala in un tratto di mare che si estende fino a 24 miglia e dove la giurisdizione dello stato è ,limitata solo a fisco, immigrazione, dogana e sanità.

Precisando tali circostanze si deduce che la zona in oggetto non rientrerebbe nelle acque internazionali.

Il punto che tuttavia Terzi trascura di rivelare è che, quando l’India ha accettato la Unclos la United Nations Convention of the law of sea, ha posto due condizioni: ( art. 287 e 298) in cui indica la delimitazione delle acque fino a 200 miglia (zona economica esclusiva)

Praticamente, l’India ha difeso il suo diritto di decidere, caso per caso, come procedere nel caso di reati commesso entro 200 miglia dalla costa, dunque potrebbe legalmente avocare a sé la giurisdizione del caso Enrica Lexie.

Nella seconda condizione si legge che l’India “ interpreta che le disposizioni della Convenzione non autorizzano altri Stati a procedere, entro la zona economica esclusiva, la manovra o esercizi militari, in particolare quelle che coinvolgano l’uso di armi da fuoco o esplosivi, senza il consenso dello stato costiero”.

In questo caso dunque l’azione dei militari italiani, avvenuta senza il consenso di New Delhi, risulterebbe illegale.

Come sappiamo, quando l’Enrica Lexie ha attraccato nel porto di Kochi per un corto circuito nella catena di comando che conferisce al capitano di decidere la rotta, è  iniziato l’iter giudiziario che conosciamo, iter che prevede di sottostare alle leggi del posto senza interferenze governative.

Ora toccherà alla Corte suprema decidere sulla questione della giurisdizione , valutando se riconoscere o meno l’immunità funzionale dei soldati. Se essi saranno considerati “militari in servizio”, il processo potrà essere spostato in Italia, altrimenti saranno giudicati in India.

di Redazione

foto: it.euronews.com

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