Caproni e lo spazio della mente: Anna, Livorno e le rime elementari

caproni

«… udendo le sirene sie più forte,/pon giù il seme del piangere e ascolta…» dice Beatrice a Dante, una volta subentrata a Virgilio come guida nell’aldilà. Siamo nel nel canto XXXI del Purgatorio di Dante, ma non solo. Siamo anche in apertura alla raccolta poetica Il seme del piangere di Giorgio Caproni. Qui il verso dantesco viene messo in esergo e introduce in un altro viaggio nell’oltretomba, ma molto diverso da quello della Commedia. 

Questa volta l’Io poeta si avventura in un tempo perduto, fatto di memorie infantili e suggestioni. Vi troviamo una Livorno immobile che porta ancora i segni del vecchio Ottocento e una donna, Anna Picchi detta Annina, che è la madre dell’autore, ma in quel tempo mitico era solo una ragazza giovane e bella che ricamava e andava in bicicletta. Caproni inizia a a lavorare alla raccolta nel 1950, l’anno in cui la madre muore. In una delle interviste riportate nella raccolta a cura di Melissa Rota Il mondo ha bisogno dei poeti. Interviste e autocommenti 1948-1990, l’autore afferma: «Tentar di far rivivere mia madre come ragazza, mi parve un modo […] di risarcimento contro le molte sofferenze e contro la morte».

Anna

A cercare quella ragazza Caproni manda la sua stessa anima. Nel primo componimento della sezione Versi Livornesi la esorta a tornare indietro nel tempo, in una notte nera come la selva oscura. «Anima mia, leggera/va’ a Livorno, ti prego./ E con la tua candela/timida, di nottetempo/ fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,/ perlustra e scruta, e scrivi/se per caso Anna Picchi/è ancor viva tra i vivi.» E l’anima coglie Anna mentre scende svelta le scale di casa per andare al lavoro, nella poesia L’uscita mattutina. L’incontro avviene all’alba, l’ora che simboleggia l’infanzia e la giovinezza.

La figura di Anna è caratterizzata da pochi particolari fisici come il neo sul labbro e la nuca sottile. Più numerosi sono gli oggetti che le appartengono, come la catenina d’oro, lo «scialletto scarlatto», la camicetta, l’«acuto ago», la bicicletta azzurra. Questi oggetti la definiscono come una figura fine, gentile, leggiadra. Non sono altro che un’esternazione della sua essenza nobile e allo stesso tempo concerta. In realtà tutto ciò che fa parte di questo mondo mitico è un irradiazione della bella Annina. 

Livorno

La città stessa non fa eccezione. Caproni riporta Livorno così come la ricorda dall’infanzia, non ancora danneggiata dai bombardamenti della guerra. «Di Livorno ho un’immagine che appartiene alla geografia e alla mitologia della mia infanzia […] Esisterà sempre finché esisto io, questa città malata di spazio nella mia mente, col suo sapore di gelati, nell’odor di pesce del Mercato Centrale Lungo i Fossi, e con l’illimitato asfalto del Voltone». Nei componimenti nomina anche i becolini, via Palestro, l’«uscio dello Sbolci», i Fossi… una città viva nei suoi particolari ma che in fondo esiste solo nella misura in cui viene a contatto con la protagonista. 

Di esempi ce ne sono in abbondanza, e sono disseminati in tutta la prima parte di Il seme del piangere. «Ma come s’illuminava/la strada dove lei passava!/Tutto Corso Amedeo,/ sentendola, si destava» e «Tutta di lei risuonava/al suo ticchettio la contrada» in L’uscita mattutina; «Livorno le si apriva/tutta vezzeggiativa:/Livorno, tutta invenzione/nel sussurrare il suo nome» in Né ombra né sospetto;  «Livorno, quando lei passava,/d’aria e di barche odorava» in Quando passava; «Livorno tutta intorno/com’era ventilata!/come sapeva di mare/sapendo il suo lavorare!» in La Ricamatrice.

Rime elementari

Ma c’è di più. Anna non è soltanto un caro ricordo del passato, è anche una musa. Anzi, è l’incarnazione stessa della poesia così come la intende Caproni. In Battendo a macchina il poeta scrive: «[Mia mano] Sii arguta e attenta: pia/Sii magra e sii poesia/se vuoi esser vita./E se non vuoi tradita/la sua complice gloria,/sii fine e popolare/come fu lei — sii ardita/e trepida, tutta storia/gentile, senza ambizione».

Il parallelismo tra il modo di essere della madre e il giusto modo di fare poesia è evidente. Entrambi fini e allo stesso tempo popolari, semplici eppure gloriosi. E allora ecco che nella ricerca della giovane Annina l’anima del poeta trova l’essenza stessa delle rime che gli occorrono per riportare in vita la sua Euridice. Si approda quindi alla poesia «Per lei», che è una vera e propria dichiarazione di poetica: «Per lei voglio rime chiare,/usuali: in -are./Rime magari vietate,/ma aperte: ventilate./[…] Rime che a distanza/(Anna era così schietta)/conservino l’eleganza/povera, ma altrettanto netta./Rime che non siano labili,/anche se orecchiabili./Rime non crepuscolari,/ma verdi, elementari».

Foto di Dim Hou da Pixabay

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