Art. 18: la sfida di Renzi ai sindacati e le reazioni interne al Pd

matteo_renzipdDurante la conferenza del Pd, durata 44 minuti, il Presidente del Consiglio ha lanciato una sfida ai sindacati, sul tema dell’art.18 ed è uscito vittorioso all’interno del suo partito.

La mozione è stata infatti approvata con 130 voti favorevoli, 11 astenuti, 20 contrari. Così, se le voci fuori del coro hanno provato a mantenere la linea dura, Renzi è stato perentorio “da oggi tutti dovranno adeguarsi”.

Una strana apertura si è tuttavia scorta verso i sindacati “Sono disponibile a riaprire la sala verde di palazzo Chigi – ha annunciato il Premier – per un confronto con Cgil, Cisl e Uil e tutti gli altri sindacati. Li sfido su tre punti: una legge sulla rappresentanza sindacale, il collegamento con la contrattazione di secondo livello e il salario minimo”.

Matteo Renzi ha inoltre ribadito l’ipotesi di inserire una parte del Tfr in busta paga dal primo gennaio, se sarà garantita dalle banche liquidità alle imprese. Per finire con i sindacati ha detto “non è accettabile che non si dica che in questi anni hanno avuto una responsabilità drammatica” – “hanno rappresentato una sola parte. Se non lo diciamo noi facciamo un danno al sindacato”.

Pronta la risposta, a distanza, di Susanna Camusso che in una nota ha scritto “Anche l’enunciazione dell’obiettivo, da tutti condiviso, dell’eliminazione del precariato e del superamento del mercato del lavoro duale, non si traduce in proposte vere di riduzione delle forme contrattuali. Sebbene sia certamente apprezzabile l’ulteriore estensione a tutte le donne che lavorano del diritto alla maternità e l’impegno a una legge sulle dimissioni in bianco l’allargamento dei diritti a tutti i lavoratori richiede di considerare anche le altre tutele. Così come sugli ammortizzatori le risorse indicate non fanno intravedere, purtroppo, un’effettiva universalità“.

Insomma, bomba o non bomba, per il Premier “Alla fine si vota allo stesso modo in Parlamento. “Chi non la pensa come la segreteria non è un Flintstones e chi la pensa come la segreteria non è Margareth Thatcher. Sono due posizioni che meritano rispetto, che si confrontano con un voto e nel lavoro parlamentare”. “Questo per me era la stella polare quando non ero alla guida del Pd”- ha dichiarato solennemente. “Il Pd -continua Renzi – non è un club di filosofi ma un partito politico che decide, certo discute e si divide ma all’esterno è tutto insieme. Questa è per me la ditta”.

Per il Presidente del consiglio “Il rispetto del diritto costituzionale è nell’avere lavoro”. “Il rispetto del diritto costituzionale”, “non è nell’avere o no l’articolo 18, ma nell’avere lavoro. Se fosse l’articolo 18 il riferimento costituzionale allora perché per 44 anni c’è stata differenza tra aziende con 15 dipendenti o di più?” Poi ha ribadito che è arrivato il momento di “votare con chiarezza un documento che segni il cammino del Pd sui temi del lavoro e ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni”.

Renzi parla pure di una “profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare“- e asserisce “serve un Paese che vuole investire e dare risposte ai nuovi deboli che sono tanti e hanno bisogno di risposte diverse da quelle date finora. La rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c’è uno Stato amico che li aiuta” e sottolinea altresì l’importanza del partito in Europa “il Pd è riferimento di una sfida per cambiare l’Italia e l’Europa. Gli elettori con il 40,8% alle europee si sono affidati a noi con questo obiettivo. Ma non è tanto una percentuale o il numero assoluto dei voti a contare: è il fatto che gli italiani hanno detto al Pd ‘la devi cambiare tu l’Italia”.

Alla guida di una delle minoranze, un Massimo D’Alema quanto mai combattivo che ha continuato a difendere strenuamente l’articolo 18 “Non è vero che l’articolo 18 è un tabù da 44 anni perché è stato cambiato 2 anni fa. Io penso che questa riforma costi molto più di due miliardi e mezzo. Costa dieci volte tanto se si vuole fare con qualche serietà: con 9 milioni di disoccupati e due miliardi e mezzo non si ammortizza niente. Personalmente io vorrei vedere concentrato ogni sforzo sulla crescita. E’ un impianto di governo destinato a produrre scarsissimi effetti. Meno slogan e meno spot e un’azione di governo più riflettuta credo possa essere la via per i risultati. In un Paese civile ogni due anni che si è fatta una riforma si fa prima il monitoraggio degli esiti. Un po’ di persone che sanno le cose esistono, Matteo”.

Renzi ha risposto all’ex Premier citando l’economista Joseph Stiglitz, secondo cui le riforme vanno effettuate quando l’economia del Paese è n fase di crescita “A me è capitato di governare quando non c’è crescita, il presidente D’Alema ha avuto una fortuna opposta”, ha puntualizzato l’ex Sindaco.

Propositi fermi sono stati rivolti anche all’ex segretario Bersani che lo aveva accusato di rappresentare un Governo “tutto slogan” . Per Bersani “Noi sull’orlo del baratro non ci andiamo per l’articolo 18. Ci andiamo per il metodo Boffo, perché se uno dice la sua, deve poterla dire senza che gli venga tolta la dignità. Ai neofiti della ditta dico che non funziona così. Io voglio poter discutere prima che ci sia un prendere o lasciare, prima che mi si carichi della responsabilità di far traballare un partito o il governo. Secondo me qui c’è un deficit di sostanza riformatrice. Non mi si venga a dire che qui non abbiamo mai fatto niente. Qui a nessuno trema il polso a cambiare le cose. Qui si perde un’occasione. Una riforma del genere andrebbe inquadrata in un esame della situazione economica e sociale. Vedo neofiti della ditta, dei neoconvertiti, che mi spiegano come si sta in un partito, ma non funziona così, perché voglio discutere di una svolta di questa natura prima che ci sia un prendere o lasciare, prima che mi si incarichi di far traballare il governo”.

Un Renzi quanto mai altezzoso ha risposto asciuttamente ”il Pd sta mettendo in campo una solida e forte proposta di governo; se poi non andrà bene lo diranno cittadini, i mercati”.

Anche Cuperlo ha difeso la posizione della minoranza Pd “Il reintegro è il capriccio ideologico di una sinistra ferma alla Polaroid rispetto al digitale? Forse no, in Europa esiste. La norma sull’articolo 18 non ha 44 anni come i gatti ma due anni come bimbi al nido, perché è del 2012 e da allora i casi di conciliazione si sono quintuplicati a conferma che nessuno ci obbliga a seguire la strada di Squinzi e Sacconi anche perché escludere di principio il reintegro da parte del giudice non è possibile in base alla Costituzione, all’articolo 24. Tutele crescenti vuol dire che si applica a tutti il diritto comune del lavoro altrimenti non si capisce perché ai nuovi si applichi una disciplina diversa. E allora o togli il diritto precedente a tutti o la nuova disciplina rischia di essere incostituzionale”.

Poi ha aggiunto “Se il governo intende modificare l’art. 18 per tutti sulle parole di

Renzi è giusto avere dei testi sotto gli occhi perché parliamo della vita delle persone. Allora però si pone il problema enorme di come provare l’avvenuta discriminazione”. “L’articolo 18 ha avuto una funzione di deterrenza: se la modifichi, dico con spirito costruttivo, crei difficoltà per il lavoratore che deve provare l’illegittimità della discriminazione o del provvedimento disciplinare. Togliere a un giudice la possibilità di stabilire il reintegro anche per manifesta infondatezza non produrrebbe un beneficio sulla ripresa dell’economia”.

Stefano Fassina, che nei giorni scorsi ha preso posizioni assai distanti al premier ha precisato infine che l’impostazione di Renzi “fa parte di un bagaglio politico che non è nostro”. “Diciamo la verità: si fa questa operazione perché ce lo chiede la Commissione europea, che non è un organismo tecnico, ma politico con un orientamento liberista: la si fa per indebolire i lavoratori, per abbassare le retribuzioni in alternative alla svalutazione della moneta. Questo è l’obiettivo”.

Uno degli interventi più agguerriti è stato quello di Pippo Civati. Il “ribelle” afferma che quelle di Renzi sono parole che “usava la destra 10 anni fa” appartenenti ad “una cultura politica da anni 80, il cambiamento va fatto in modo progressivo”.

di Redazione

 

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