Archiviato il caso Pasolini

pasolini-75-11-02-2La Procura di Roma, facente capo a Giuseppe Pignatone, ha ufficialmente archiviato l’inchiesta sull’omicidio dello scrittore Pier Paolo Pasolini, barbaramente freddato presso l’Idroscalo di Ostia la notte del 2 novembre 1975. 

La decisione è stata presa dal gip Maria Agrimi, dopo aver letto le conclusioni del Procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e del pm Francesco Minisci. Dopo anni di indagini infatti non sono mai emerse prove sufficienti a carico degli altri 5 misteriosi imputati, il cui codice genetico era stato ritrovato dai Ris sugli abiti di Pasolini.

Gli inquirenti, inoltre, non avevano mai saputo collocare “temporalmente” i Dna identificati. “E’ impossibile determinare” – avevano spiegato – “se quelle tracce sugli indumenti siano precedenti, coevi o successivi all’evento delittuoso”. Infine, non si erano mai presentati ulteriori testimoni fisici in grado di aggiungere elementi preziosi per le indagini.

L’unico condannato per il delitto resta dunque Pino Pelosi, che si era da subito autoaccusato dell’omicidio (fino ad oggi il procedimento era rimasto a carico di ignoti).  Le versioni di Pelosi a dire il vero, erano sempre state contraddittorie e gli evidenti “buchi” nella ricostruzione non avevano del tutto convinto gli investigatori.

Il 7 maggio 2005 l’uomo, chiamato “Pino la rana” per via degli occhi sporgenti e la bocca larga, aveva shoccato l’opinione pubblica durante la trasmissione televisiva Rai “Ombre sul giallo”. Davanti alle telecamere sostenne infatti di non essere stato da solo quella maledetta notte e accusò dell’aggressione tre persone dall’accento siciliano, che si sarebbero avventate contro il poeta con mazze e bastoni. “C’erano i due fratelli Giuseppe e Franco Borsellino, e un altro che non conosco”, avrebbe detto Pelosi, continuando a nascondere il nome del terzo assassino.

Ammise poi di essersi autoaccusato del delitto a seguito delle minacce di morte subite da parte di uno degli aggressori e di essersi deciso a confessare tutto, solo dopo la morte di esso. Successivamente Pelosi aggiunse altri particolari, relativi all’adescamento.

Si trattava di un incontro con gli emissari di chi aveva rubato le pizze di pellicola del suo film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, per trattarne la restituzione, ammise l’uomo. Il reo confesso poi riferì che l’agguato fu repentino “In tre massacrarono di botte Pasolini, poi passarono sul suo corpo con un’Alfa 1750 identica alla sua”.

Si trattava, come appena accennato, dei fratelli Borsellino, vicini alla malavita e ai movimenti di estrema destra, mentre il terzo uomo sarebbe stato Giuseppe Mastini, soprannominato Johnny lo Zingaro, condannato all’ergastolo nel 1989 per reati vari.  La condanna di Pelosi. Pelosi fu inizialmente accusato di atti osceni e omicidio colposo.

All’epoca dell’omicidio, non era ancora maggiorenne ed era solito frequentare l’idroscalo insieme ad altri amici “ per fare quattro risate con i froci”, avrebbe affermato più volte.

Nel 1976 il pubblico ministero Giuseppe Santarsiero chiese una condanna a 10 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione, pena ridotta dalla Corte a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni per “omicidio volontario in concorso con ignoti”, mentre fu assolto dalla condanna per atti osceni. Rinchiuso a Civitavecchia, ottenne la semilibertà nel 1982.

Nel 1983 arrivò la libertà condizionata. La delusione dei familiari del poeta. Qualche mese fa, Stefano Maccioni, legale di Guido Mazzon, cugino di Pasolini, si era opposto all’archiviazione. Ad unirsi a Maccioni anche la criminologa Simona Ruffini ed il giornalista Domenico Valter rizzo, che avevano fornito nuovi spunti investigativi.

Essi sarebbero riconducibili sia agli ambienti della malavita romana, sia alla cosiddetta “pista catanese” e passano attraverso le ricerche che il poeta stava effettuando sulla morte di Enrico Mattei (da includere nel famoso capitolo scomparso del romanzo “Petrolio”).

I consulenti Maccioni e Ruffini avevano assistito alle operazioni di raccolta dei reperti, che dopo essere stati analizzati presso i laboratori del Ris erano stati conservati al museo criminologico della capitale.

“L’aspetto sicuramente più significativo che emerge da un esame seppur sommario degli atti del procedimento è la sicura presenza di ulteriori profili genetici presenti sulla scena del delitto riconducibili ad almeno altri due soggetti maschili allo stato rimasti ignoti”- aveva afferma l’avvocato “ Mi riferisco ad un dna riscontrato nella parte interna anteriore dei pantaloni jeans indossati quella sera da Pasolini e dai campionamenti effettuati sul plantare ritrovato all’interno dell’Alfa Gt del poeta. Devo dare atto alla procura di aver svolto, attraverso l’ausilio dei Ris e degli uomini del nucleo investigativo dei carabinieri, approfondite indagini su varie piste investigative sottoposte alla loro attenzione”.

Ad archiviazione avvenuta, l’avvocato ha così commentato “Non nascondiamo una evidente amarezza in relazione alle motivazioni addotte dal giudice a sostegno della propria ordinanza di archiviazione. Ancora una volta si è persa l’occasione per indagare sul vero movente di questo omicidio”, per poi proseguire “ancora adesso manca ancora il movente per l’omicidio”.

“E’ assolutamente scandaloso che oggi, dopo 40 anni dalla morte di Pasolini, il processo si concluda con un nulla di fatto, senza colpevoli e con una archiviazione. In realtà non si tratta dell’unica archiviazione “storica”.

di Simona Mazza

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.