Anton Čechov e la confessione dell’amore ideale

Gli imprevisti hanno il potere di tracciare un disegno inedito per ogni storia, ma sono anche degli ottimi capri espiatori per nascondere i piccoli cortocircuiti della volontà umana. Ne dà dimostrazione Anton Čechov in uno dei suoi racconti giovanili scritti tra il 1880 e il 1884. Siamo ancora lontani dai grandi drammi come Zio Vanja (1899) e Il giardino dei ciliegi (1904). Eppure in La confessione, ovvero Olja, Ženja, Zoja troviamo già il germe della teatralità tragicomica che caratterizzerà le sue opere più mature. La paradossalità dei fatti narrati fa sorridere, ma lascia sempre scoperta l’amarezza di un ideale amoroso impossibile da realizzare e di una solitudine dolente in cui il protagonista si trascina ancora alla soglia dei quarant’anni. 

La confessione è un racconto che prende la forma di una lettera inviata dallo scrittore Makar Baldastov a una destinataria senza nome che lui chiama semplicemente ma chère. Non è chiaro fino in fondo che rapporto ci sia tra l’io narrante e la sua interlocutrice. Lui la chiama «mia cara, indimenticabile amica», ma le critiche che muove a suo marito alla fine della lettera sembrerebbero lasciar trapelare un po’ di gelosia. Forse ma chère è una delle sue tante occasioni di felicità perse. Tuttavia l’importanza della donna non sta nella sua identità, bensì nel grado di confidenza che ha stabilito con lo scrittore. È in virtù di questa confidenza che Makar le racconta la storia di alcuni dei suoi più grandi amori e di come sono miseramente finiti. 

Colpa del caso o dell’immaginario?

Tutta colpa del caso, sembra: «Sono stato sul punto di sposarmi circa 15 volte e se non mi sono mai sposato è perché tutto a questo mondo, soprattutto la mia vita, è sottomesso al caso, tutto dipende da esso! Il caso è tiranno». Un’affermazione sincera anche se non del tutto vera. Se si legge attentamente il racconto infatti, si percepisce che la vera causa dei naufragi amorosi non è il destino avverso, ma l’immaginario dello stesso Makar. Il suo ideale dell’amore è troppo alto per essere raggiunto da una comune mortale. Tende alla perfezione come le belle poesie che ama leggere e la musica dei grandi autori che adora ascoltare a teatro. Ma dato che nessun rapporto umano è svincolato dall’umana imperfezione, egli utilizza l’imprevisto come occasione per rinunciare ai suoi amori. Così può mettersi alla ricerca di un nuovo idillio, auto-condannandosi all’ennesima delusione.

Nella lettera sono narrati tre diversi aneddoti. Tutti e tre partono da una situazione ideale: la passeggiata mano nella mano con Olja in una bellissima mattina di giugno, le notti insonni all’insegna della letteratura con Ženja, le serate a teatro con la dolce Zoja. Anche le ragazze vengono presentate come figure meravigliose e incorruttibili. Olja Gruzdvoskaja, con l’infantile ingenuità che brillava nei suoi occhi azzurri; Ženja Psikova, che un tempo era stata una dolce bambina sognante dai capelli neri; Zoja Pepsinov, così snella, bella e intelligente da far impazzire un uomo. Intorno a ognuna di loro Makar costruisce un mito di innocenza, compostezza e docilità che scorpora la figura femminile e la depura da ogni caratteristica individuale. Ai suoi occhi Olja, Ženja e Zoja (tre nomi non a caso legati da assonanza) sono sempre la stessa donna leggendaria.

La realtà deludente

«Il papero piegò il collo verso terra e, fischiando come un serpente, si diresse minaccioso verso Olja. Olja fece uno strillo e si precipitò via di corsa […] Quanto di non innocente, di non infantile, e d’idiota c’era in quel visino spaventato! […] Non posso immaginarmi sposato ad una donna vile e codarda! […] Olja perse per me ogni fascino. Rinunciai a lei». Una motivazione futile per rinunciare alla donna amata, eppure estremamente sensata se si entra nella psicologia di Makar. Nella reazione esagerata di Olja, lo scrittore scorge la sua debolezza umana e ne resta deluso. Un edonista come lui non può sopportare la vista di un’immagine corrotta da un istinto basso come la codardia. Meglio lasciar perdere e ricominciare tutto da capo. 

Approda così a Ženja, con cui apparentemente condivide la passione per la letteratura. Ma anche questa è un’illusione. Dopo che uno scritto di Makar viene respinto da una rivista umoristica, la donna afferma: «può darsi che lei non abbia talento per questo genere di cose! Loro questo lo sanno meglio di noi. L’anno scorso sono andata a pescare tutta l’estate con Fedor Fedoseevic, mentre lei non fa altro che scrivere… Che noia!». Questa volta a incrinarsi non è solo l’immagine dell’amata, ma anche quella del protagonista stesso. Non a caso Makar usa parole molto più accorate per criticare il comportamento ingiusto degli invidiosi nei confronti degli scrittori talentuosi, che per descrivere la fine del suo amore con Ženja. Non può perdonarla per avergli fatto credere di amare i suoi scritti, ma ancora meno per aver tentato di distruggere l’immagine che lo scrittore ha di sé e del suo talento.

Zoja

La storia con Zoja merita un discorso a parte. In questo caso l’imprevisto non fa emergere i difetti della ragazza, ma la vera volontà di Makar. Con Zoja lo scrittore ha davvero la felicità a portata di mano, questa volta non c’è nessun imprevisto a salvarlo dall’unione definitiva. Allora se lo crea da solo, inconsciamente. In fondo sa che nessun idillio può resistere allo scorrere del tempo, allora il suo corpo si ribella impedendogli di dichiararsi all’amata e di mettere la parola fine alla sua ricerca. «Singhiozzai ancora una volta e stringendo i pugni, uscii dal palco. […] Camminavo avanti e indietro e continuavo a singhiozzare. […] All’inizio del quarto atto, me ne infischiai di tutto e tornai a casa. Giunto a casa, come per dispetto, il singhiozzo mi cessò». Sembra che il singhiozzo gli venga solo quando c’è la donna, come una reazione allergica che si scatena vicino alla sostanza nociva. 

Anche questa volta viene data la colpa al fato, ma la verità è che la figura perfetta che Makar ricerca in ogni donna non può sussistere in nessun “per sempre”. Si nutre di inizi, di momenti non ancora attraversati dalla durezza della vita, di idilli in cui tutto è ancora allo stato potenziale e ognuno riesce ancora a mostrare solo la parte migliore di sé. Ebbene questa è la vera confessione che dà il titolo al racconto: non semplicemente gli aneddoti che hanno portato Makar a essere ancora scapolo nonostante i 39 anni d’età, ma l’enunciazione di un’idea dell’amore irrealizzabile che rende ineluttabile (e anche romantica) la sua solitudine. 

Foto di silviarita da Pixabay

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