Africa, tra miti e racconti

La presunzione di costruire complessi di inferiorità e superiorità a seconda di questa esigenza economica o di quella ragione espansionistica è da sempre connaturale all’uomo. Un difetto di fabbrica riscontrabile in quasi tutte le società umane. A questo è d’altronde servito il razzismo: a sviluppare le basi sulle quali poter fondare colonie e per mezzo delle quali lodarsi di conquiste.

Tra le più note e tristi vicissitudini in tal senso, non può non essere menzionato l’operato europeo in terra ruandese, dove i gruppi etnici locali di Hutu, Tutsi e Twa furono classificati secondo il loro grado di bellezza, di intelligenza o di organizzazione politica durante tutto il periodo della colonizzazione. Al vertice della piramide sociale dettata dagli europei erano quindi collocati gli hamiti Tutsi, portatori di una civilizzazione più avanzata; sotto di loro gli hutu, la “razza bantu” dei negri; nel gradino più in basso della piramide venivano a trovarsi i Twa, considerati alla stregua di essere animali, imparentati con le scimmie. Studi antropologici riportano che negli scritti dei missionari, i Tutsi venivano addirittura indicati con l’appellativo di “Signori”.

Ancor più amaro e assurdo è dover contemplare il successo ottenuto: ciò che gli europei hanno inventato in Africa diventerà un credo per gli stessi attori locali. Hutu e Tutsi finiranno infatti per riconoscersi – almeno per il tempo di un genocidio – proprio in quelle categorie idealizzate dal regime coloniale. In questo senso le cosiddette “etnie” ruandesi hutu, tutsi e twa vengono, di fatto, inventate dagli europei: il termine “etnia” in Rwanda è frutto dell’esportazione del concetto europeo di “razza”.

Il termine hamita

Oltre ai racconti popolari dei miti delle origini, può essere allora interessante e curioso seguire le tappe storiche del processo di mutazione subito dal termine hamita in relazione alla stirpe africana. La storiografia biblica vuole che da Cam discendano gli uomini dalla pelle scura che popolarono l’Africa. Per risalire a Cam è quindi necessario partire dalla consultazione del testo biblico, con particolare riferimento alla Genesi, dove per la prima volta compare il nome di Ham, talvolta tradotto dall’ebraico come Cam, Cham o Kam.

Genesi 9, 20-27. Noè e i suoi figli: Sem, Japhet e Cham. Noè, che era un agricoltore, fu il primo a piantare una vigna. Un giorno, dopo aver bevuto molto vino, si ubriacò e si addormentò nudo nella sua tenda. Cham, padre di Canaan, ultimo dei suoi quattro figli, lo vide dormire nudo e corse a dirlo ai fratelli. Allora Sem e Japhet si precipitarono a coprire il padre con un mantello. Quando Noè non fu più ubriaco, venne a sapere quello che gli aveva fatto il figlio più giovane (Cham) e si infuriò. Allora gli disse: «Canaan sia maledetto, sia lo schiavo degli schiavi dei suoi fratelli». Poi disse: «il Signore, il Dio di Sem sia benedetto […] Canaan sia lo schiavo di Sem […] Canaan sia lo schiavo di Japhet».

Nella Bibbia non compare alcun riferimento a differenze razziali fra gli antenati di Ham, tuttavia questo emerge nei secoli successivi riguardo ai suoi discendenti. Nel Talmud babilonese, collezione di tradizioni orali ebraiche risalenti al VI secolo d.C., Ham viene indicato come un uomo peccaminoso e la sua progenie degenerata; secondo il testo gli africani avrebbero subito la maledizione del loro antenato Cham. Si diffonde così l’idea che tutti gli uomini dalla pelle scura siano hamiti, ossia dotati di determinati attributi fisici e soprattutto con un brutto carattere.

Negri e non negri

Le nozioni di “negro-hamita”, “negro come il degenerato” o “negri = figli di Cham” sono immagini che si protraggono per tutto il Medioevo e generalmente accettate fino all’età contemporanea. Queste contribuiranno, tra l’altro, a giustificare la tratta degli schiavi così come i processi di evangelizzazione e civilizzazione nel continente africano.

Il secolo dei lumi rimette in discussione questa visione. In particolare, a seguito della spedizione in Egitto di Napoleone Bonaparte nel 1798, si compie una completa riconversione del mito di Ham. Napoleone decise di portare con sé archeologi e scienziati; questi ultimi fecero la scoperta dei grandi tesori dell’Alta valle del Nilo: monumenti, mummie perfettamente conservate, manufatti di metallo pregiato e molto altro.

Il rinvenimento di tanta ricchezza culturale suscitò un dibattito scientifico sulle origini, sul livello di civiltà raggiunto dal popolo egiziano e sugli eventuali contatti che questa gente ebbe con altre popolazioni del continente. La versione precedente del mito hamita, a questo punto, non era più proponibile. Si giunse alla conclusione che se i negri fossero stati i discendenti di Ham, il maledetto, non avrebbero mai potuto dar vita a una così grande civiltà. Per di più i Copti – nome utilizzato per indicare i cristiani egiziani nativi – erano belli, graziosi e con una colorazione giallastra, secondo i canoni europei. Gli scienziati arrivarono così alla conclusione che gli Egizi fossero gli iniziatori della civiltà occidentale e che andassero definiti come “non negri”, imparentati con i bianchi europei.

Eurocentrismo

Da questo momento in poi, a partire dal XVIII secolo circa, gli studiosi utilizzeranno il termine hamita con l’obiettivo di studiare e rappresentare la grande diversità delle popolazioni africane in base a una gerarchia fondata sulla loro prossimità al ceppo europeo: se essi non sono completamente neri, così come gli egiziani, significa che sono entrati in contatto con civiltà straniere. Il punto cardine su cui costruirono le fondamenta di queste posizioni fu, anzitutto, il colore della pelle: la pigmentazione intermedia di molte popolazioni classificate come hamitiche, dunque non completamente nere, bensì rossastre o mediterranee.

Abbiamo impiegato un’infinità di tempo per screditare definitivamente l’ipotesi della razza camitica. Bisognerà attendere la metà del XX secolo per un tale traguardo, se così possiamo definirlo. Quello razziale sembra essere un principio ancora in auge e per il quale purtroppo, a nulla vale, spesso, la realtà dei fatti; il termine razza non appartiene al vocabolario scientifico.

Foto di Portraitor da Pixabay

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