Africa. Anche se non sembra comincia ad europeizzarsi e lo sta facendo da sola

Africa. Stanchi di aspettare che gli europei li aiutino a casa loro, ora gli africani hanno compreso di doversi aiutare da soli. Lo stanno facendo con soluzioni economiche che l’Europa ha adottato da tempo ma che per l’Africa sono rivoluzionarie.

La scorsa settimana ad Abuja, capitale della Nigeria, si sono riuniti quindici capi di Stato africani, tutti del Golfo di Guinea. I leader africani hanno approvato una tabella di marcia per l’emissione di una loro moneta unica, l’Eco, che andrà in vigore nel gennaio 2020.

Il potere economico finanziario della Francia in Africa sarà ridimensionato

Otto dei 15 Stati adottavano delle monete nazionali (Capoverde, Gambia, Ghana, Guinea, Liberia, Nigeria, Sierra Leone). Altri sette (Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo) si sganciano dall’area del Franco CFA, una valuta a cambio fisso con l’Euro, garantita dalla Banca francese. Chiaramente, per il servizio, erano tenuti a versare alla Francia una quota del loro Pil. Tutti soldi risparmiati con i quali ora si aiuteranno “a casa loro”. Con buona pace della nazione transalpina.

Il nuovo regime di cambio, con le altre monete mondiali, sarà flessibile e sarà gestito da una istituenda Banca centrale africana. Restano ancora nel Franco CFA sei Stati dell’Africa centrale (Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica Popolare del Congo). I più poveri.

La futura moneta unica sarà adottata da 385 mil.ni di africani. Per fare un esempio, l’Eurozona conta solo 343 milioni di abitanti. La Germania dell’area Eco sarà sicuramente la Nigeria. Lagos, infatti, è la prima economia del continente con il 17% del Pil di tutta l’Africa. Con oltre 190 milioni di abitanti, la Nigeria contende al Brasile il quinto posto mondiale, in quanto a popolazione.

Nasce in Africa il Mercato comune più grande del mondo

Lo scorso 7 luglio, a Niamey, si sono definite le modalità di attuazione dell’ Afcfta (Area di libero scambio continentale africana), un accordo sottoscritto da tutti e 54 Stati africani, tranne l’Eritrea. Un’enorme area con un Pil di oltre 2500 miliardi di dollari e 1,2 miliardi di consumatori.

Sarà il più grande mercato comune del mondo, Esso prevede la riduzione di almeno il 90% dei dazi sui prodotti importati da altri paesi africani. Ciò significa che il commercio intra-africano, sinora limitato al 17% delle transazioni totali dei vari Stati, potrà avviarsi a raggiungere i livelli dell’Asia (59%) e, soprattutto, dell’Europa (69%), dove il libero scambio vige da decenni.

Sinora, il groviglio di tariffe doganali rendevano gli scambi intra-africani estremamente costosi e vittima di lungaggini. Anziché rivolgersi alla produzione locale, gli operatori commerciali africani mettono principalmente sul mercato prodotti importati. Anche se la materia prima con cui la maggior parte di tali prodotti è fabbricato proviene dall’Africa.

E’ più conveniente per il produttore, infatti, inviare la materie prime nelle fabbriche cinesi ed europee, per poi riacquistare il prodotto finito e metterlo sul mercato. I prezzi al consumo ovviamente, sono maggiori. Le conseguenze negative sull’occupazione e sulla crescita economica del continente africano sono uno dei fattori che hanno determinato l’emigrazione in massa di forza lavoro.

La complessità di dazi e tariffe intra-africane è una diretta eredità del colonialismo. Sono stati i colonizzatori europei a imporre il sistema della monocoltura. Le colonie, cioè, venivano obbligate a coltivare un’unica specie di prodotto agricolo, da vendere a basso prezzo solo al paese che li sfruttava, e acquistare, invece, tutti gli altri generi alimentari necessari dal paese colonizzatore.

L’accesso a un unico grande mercato senza dazi incoraggerà i produttori locali ad adottare economie di scala. L’ abbassamento dei prezzi determinerà l’incremento della domanda interna e un conseguente incremento della produzione e dell’occupazione.

Una grande muraglia verde fermerà la desertificazione e la fuga della forza lavoro

Si è più volte detto che dietro il fenomeno delle migrazioni si nasconde la minaccia dei cambiamenti climatici. Il fenomeno interessa soprattutto i paesi dell’Africa subsahariana. La desertificazione di tale fascia di territorio (Sahel) potrebbe indurre ben 85 milioni di persone a spostarsi, da qui al 2050.

Anche per tale fenomeno, la soluzione è stata ideata e si comincia ad attuare grazie all’iniziativa dei paesi interessati. Anziché aspettare che si muovano gli Stati più ricchi di Europa o America. Sin dal 2005, infatti, l’Unione Africana ha progettato ed avviato la realizzazione di una grande muraglia verde per fermare la desertificazione della fascia del Sahel.

L’iniziativa prevede la creazione di un vasto sistema di paesaggi produttivi verdi ai confini del deserto. Essa mira a rafforzare gli ecosistemi locali, gestendoli in maniera ponderata, proteggere il patrimonio rurale e migliorare le condizioni di vita della popolazione. Oltre agli Stati africani promotori, il progetto è sostenuto da organismi internazionali extra africani come la FAO, la Banca Mondiale e l’Unione Europea. Forse è per questo che i risultati positivi si intravedono appena.

Fonte foto: Curioctopus

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