La battaglia di Giuseppe Ciminnisi: Una storia di “ordinaria mafia”

ciminnisiNell’intervista di oggi affronteremo una storia drammatica e commovente, ma al tempo stessa carica di speranza. Una storia purtroppo vera che ci farà toccare con mano la ruvida impietosità del fenomeno mafioso e dei pericolosi connotati sociali che assume grazie alla connivenza “forzata” e soprattutto all’indifferenza che intossica ogni particella del tessuto connettivo entro cui si muove.

Voglio per una volta limitare le domande da “classica” intervistatrice per lasciare la parola, di per sé vibrante, al protagonista del luttuoso accadimento, di quella che si potrebbe definire “Una storia di ordinaria mafia”.

A parlare è Giuseppe Ciminnisi, figlio di Michele un uomo giusto, barbaramente ucciso in pieno giorno da Cosa Nostra solo perché si trovava nel posto “giusto “al momento “giusto”, ma in compagnia di uomo che di “giusto” aveva ben poco.

Simona Mazza  Giuseppe, io ho letto la tua storia e mi sono commossa Come te e con te ho provato la stessa rabbia e l’identica voglia di riscatto ed è per questo che ho deciso di dare piena voce alla tua testimonianza, certa che la società civile sappia coglierne i contenuti e soprattutto “NON DIMENTICHI”. Purtroppo non parliamo di eventi sporadici o di squarci distorti di una realtà circoscritta, ma di avvenimenti che in certi luoghi sono quasi all’ordine del giorno. Cosa è successo quel tragico 29 settembre 1981 a S. Giovanni Gemini?

Giuseppe Ciminnisi. Quel maledetto 29 settembre 1981 è stato “IL Giorno” che ha segnato tutta la mia vita e ne porterò il suo ricordo fino al mio ultimo giorno di vita.

Mio padre, uomo tutto casa e lavoro, era impiegato al comune di San Giovanni Gemini  come autista di scuolabus. Ogni giorno, di buon mattino accompagnava i ragazzi delle scuole elementari e i bambini dell’asilo, con grande senso del dovere e con amore, tanto che ancora oggi i “suoi” ragazzi , che nel frattempo sono diventati grandi, si ricordano di lui. Lo descrivono tutti come un uomo solare e soprattutto mi dicono sempre ” non dimenticheremo mai il sorriso del signor Michele”.

S.M.  Tuo padre conduceva una vita tranquilla, cosa è successo per farlo cadere vittima del braccio armato di Cosa Nostra?

G.C. Una sera piovigginosa di settembre papà finì l ‘orario di servizio presso il comune. Proprio vicino al municipio c’ era un piccolissimo bar, uno dei pochi bar del paese a quei tempi. Papa entrò al bar per prendere un caffè e come di consueto chiamò mamma, dicendole di farmi uscire perché voleva comprarmi un paio di scarpe da ginnastica nuove per l’ora di educazione fisica.

Nel frattempo si mise a sedere con il signor Vincenzo Romano, altra vittima innocente di questo evento e chiese di fare una partita veloce a briscola. Si creò così un tavolo per la briscola. Poco dopo entrò al bar un signore che chiese di potersi unire al gioco. Di lui si sapeva che era sposato con una signora del paese, ma che vivevano altrove e venivano a S. Giovanni Gemini raramente.

Non fecero in tempo a prendere le carte in mano,( ore 19.00 circa.) che entrarono 3 individui,( giovani di circa 30 anni) ben vestiti. Si avvicinarono alle spalle del “forestiero”,( il vero bersaglio), con armi in pugno mirando alla testa e iniziarono a sparare a più non posso. Papà si trovava seduto di fronte a lui assieme al signor Vincenzo Romano e alcuni proiettili fuoriusciti dalla testa del vero bersaglio, colpirono lui e il signor Romano. Fu un autentico finimondo :lasciarono morti e feriti in quel bar.

Io mi trovavo all’oratorio della parrocchia dove mi ero soffermato con alcuni coetanei per fare l’ ultimo tiro al pallone. Cominciai a scendere verso il bar dove papà mi aspettava , ma una persona mi fermò chiedendomi dove andassi. Evidentemente cercava di non farmi avvicinare e farfugliava cose strane, perché proprio non sapeva cosa dirmi per farmi cambiare idea. Continuavo a camminare quando fui fermato da un amico di famiglia, mentre da lontano vedevo un mare di gente. Era tutto bloccato, non si poteva passare da nessuna parte.

 L’amico di famiglia mi disse “vieni con me papà si è sentito male, si trova in ospedale”. Poi mi portò a casa, dove trovai mia madre distesa sul divano. Non capivo cosa fosse successo,ma avevo percepito che si trattava di qualcosa di veramente serio, dal momento che erano arrivati pure i carabinieri, la cui caserma era a quel tempo proprio di fronte casa mia. Chiesi di mio padre, ma nessuno sembrava intenzionato ad ascoltare le mie implorazioni ,fino a quando mi venne detta la verità : “PAPA’ E’ MORTO”.Mi crollò il mondo addosso. Mi raccontarono come erano andate le cose e allora iniziai a dare calci. Gridavo talmente forte che mi sembrava di buttare fuori pure l’ anima dalla disperazione. Poi giurai ad alta voce “papà, la mia vendetta sarà terribile, li farò punire ed arrestare tutti”. Mamma mi fissava con il viso straziato dal dolore, in quel via vai di gente. Ad un certo momento persi i sensi. Da allora mi chiusi in me.

Il giorno dei funerali fu indetta una giornata di lutto cittadino, ma io nonostante avessi solo 13 anni, mi volevo ribellare a tutto questo

S.M. Perché provavi questa avversione ?

G.C. Celebrare i funerali in forma pubblica era per me un’offesa, io volevo piangere mio padre con i miei cari!! Non volevo la finta di quei politici in giacca e cravatta !Ma secondo loro io ero solo un ragazzino fuori di testa .Pensavano che fosse il trauma a farmi delirare. Come previsto, all’indomani dei funerali tutti cominciarono a dimenticare cosa fosse successo e vidi solo isolamento: nessuno pensava a chi aveva subito un danno senza motivo. Mio fratello minore si aggrappò a me, perché mi vedeva come il fratello più forte più coraggioso. Ricordo che mi diceva “papà non torna più, siamo soli”. Io non ci dormivo più. Ogni giorno cercavo notizie in caserma e soffrivo per mia madre. Ogni giorno, al mio arrivo a casa dopo la scuola, lei preparava il solito piatto di minestra che scarseggiava sempre più. Capivo le difficoltà economiche e le sue ansie perchè temeva un futuro senza soldi con 3 figli da sfamare.

Una sera mi avvicinai a mia madre e le dissi ” mamma vado a lavorare, ci sono io so cosa devo fare, inizio a lavorare in un ristorante”. Mamma iniziava a fare le pratiche per la pensione di papà , io studiavo e lavoravo e portavo tutto a lei. Ogni mattina mi alzavo guardavo al cielo dicevo “papà non ti dimentico tu avrai giustizia”, cercavo il suo profumo, entravo nella stanza da letto per odorare e sentirne ancora la presenza, poi piangevo in silenzio. Mamma mi osservava di nascosto, e piangeva anche lei . Cominciai a leggere tutti i giornali ,ma tutte le notizie rimbombavano di cronache di morti per mafia.

S.M. Quando hai percepito che si stava muovendo qualcosa?

G.C. Compresi che i tempi stavano cambiando quando arrivò un pentito chiamato “Tommaso Buscetta”. Ero certo che stava iniziando qualcosa di grande. Se non ricordo male correva il 1984. Buscetta iniziò a parlare con il giudice Falcone, riempiendo pagine di verbali, fece nomi dei mandamenti, e fu così che saltò fuori il nome di don Gigino Pizzuto, il numero 3 di cosa nostra. Dopo Stefano Bontade e Inzerillo, lui era uno dei capi. Raccontando proprio quel piccolo particolare, trapelò che conosceva bene i fatti e che in quella occasione c’ erano stati due morti innocenti. Da quel momento decisi di agire.

 S.M. Credevi che fosse arrivato il momento propizio per farti sentire ai piani alti, e se sì come pensavi di fare?

G.C. Avevo una gran voglia di giustizia , ma aspettavo una chiamata dal tribunale che non arrivava mai. Vedevo se mamma nascondeva la posta, chiedevo al maresciallo se c’ erano novità, ma ricevevo solo indifferenza. Un giorno a lavoro vidi arrivare un signore giovane, dai modi garbati, con un sorriso sotto i baffi. Chiese di pranzare così preparai il tavolo. Mi resi conto che si trattava del nuovo tenente dei carabinieri del comando di Cammarata. Era molto simpatico e socievole, mi chiede come mi chiamavo, ma in realtà lo sapeva, tanto che mi disse “Giuseppe, papà lo sai che è morto da innocente?”, Non sapevo cosa dire, ero paralizzato. Mi chiese chi si occupava di noi. “nessuno”-risposi- “perche non abbiamo mai visto nessuno e io non faccio mancare nulla a casa”. Mi chiese se volevo fare due chiacchiere con lui in caserma nel pomeriggio ed io accettai volentieri l’invito. Esordì dicendo “Giuseppe, tu non sei rimasto solo, fidati di me, so i sacrifici che fai, so che studi, e so che non lasci mai mamma sola e i tuoi fratelli” Sentivo il mio corpo diventare rigido, una lacrima solcò il mio viso. Dopo essermi ripreso dalla mia fragilità chiesi un pò d’ acqua. Mentre versava l acqua il giovane disse ” Giuseppe ti voglio aiutare, hanno approvato delle leggi speciali alla regione siciliana per il sostegno delle vittime innocenti e tu lo sei. Papà non aveva nulla a che fare con la mafia”.

 I miei occhi si illuminarono. Lui si mise a scrivere del materiale da inviare presso la prefettura di Agrigento e dopo qualche messe mi vidi riconosciuto lo status di” orfano di vittima innocente della mafia”.

Fu un sollievo per la mia famiglia. Gli dissi ” Adesso voglio i responsabili di tutto”, ma lui rispose “abbassa la testa, devi avere pazienza, ci vuole tempo”.Non dimenticherò mai la prima volta che ho incontrato lo Stato, nella persona del tenente LINO SERRA oggi deceduto per una grave malattia. Lo porterò sempre nel cuore per la sua umiltà.

 Un giorno chiesi a un amico se poteva accompagnarmi a Palermo per sbrigare delle cose mie. Nascosi a mia madre che in realtà sarei andato al tribunale di Palermo. Avevo messo da parte solo pochi risparmi, circa diecimila lire raccolte con le mance del mio lavoro, che sarebbero serviti per pagare la benzina all’amico.

Mi presentai in tribunale a Palermo e da subito chiesi dove fosse la stanza del Dott Falcone. Qualcuno mi indicò la stanza e mi avviai, ma fui subito bloccato da 2 carabinieri che mi chiedevano cosa volessi da Giovanni Falcone. L’appuntato, mi disse “ragazzino se ti hanno rubato lo stereo non devi venire qua”.Senza neanche pensarci gli dissi ” se non parlo con lui non vado via e qui succede un gran trambusto”. Il mio amico cercò di fermarmi “Tu sei pazzo” e si avviò verso l’esterno. In quel momento vidi un uomo aprire la porta, che voleva sapere cosa stesse succedendo. Era un uomo con i baffi con mani grandi due occhi penetranti. Quasi fosse arrabbiato mi chiese cosa avevo da fare tanto casino. Io lo riconobbi subito: era Giovanni Falcone.

Gli dissi che avevo bisogno di parlargli e lui, e quasi divertito, mi rispose “ma sai dove ti trovi?” ” certo che lo so“- replicai.

 Mi fece accomodare nella stanza dove c’ era una persona che poi ho riconosciuto come il giudice Leonardo Guarnotta,. Esordì dicendomi ” forza, dimmi cosa desideri che abbiamo lavoro qua”. Presi un bel respiro, ” sono il figlio di Michele Ciminnisi, mio padre è morto, nell’ attentato a Gigino Pizzuto”.

 Lui mi guardò intensamente. Sentii uscire dalla sua voce “conosco questa storia, mi ricordo benissimo”, mi disse -“ragazzino sei molto giovane”. Quasi quasi avevo paura che mi mandasse via senza ascoltarmi. Poi cominciò a sussurrare con voce rigida” sai cosa vuol dire essere qua?” risposi- “certo che lo so”e rincalza “cosa è per te la morte?”- rispondo ” è semplicemente la conseguenza naturale della vita. Vuole mettermi paura, perché nessuno mi fa paura! Tutto quello che avevo da perdere l’ho già perso”

 Si avvicinò a me e disse ” caro Giuseppe, non posso dirti nulla”.  Vidi la mano di quell’uomo alzarsi e attraversare il mio viso : una carezza! Non sentivo quel calore umano da molto tempo, mi disse” ritorna a casa, mamma è in pensiero per te, abbi fiducia che questa storia verrà fuori, papà avrà giustizia,fidati”. Andai via dalla stanza con un sorriso. Ero contento, mi sentivo più sicuro, più forte. Nel frattempo il mio amico era rimasto fuori ad aspettarmi e appena mi vide disse ” Giuseppe ho avuto una paura enorme“.

Quando arrivammo a casa, lui riferì tutto a mia madre la quale, presa dall’ira mi diede uno schiaffo violento “tu sarai la mia rovina! io ho un figlio piccolo, cosa ti sei messo in testa, di farmi piangere ancora” mi urlò con tutto il fiato in gola. Non provai minimamente a rispondere alle sue domande e me ne andai dritto a letto senza cenare.

Dopo un’ora circa , mentre stavo con mia faccia poggiata sul cuscino ,sentii la porta della mia camera aprirsi. Era mia madre ! Si mise a sedere nel mio letto e mi abbracciò, quasi a volersi scusare dello schiaffo sonoro che mi aveva dato. Gli dissi” mamma non mi ha fatto male”.Lei rispose dolcemente “Capisco la tua rabbia, capisco tutto ma io ho paura, dimentica questa storia”, ma io le replicai fermamente “non dimentico e non posso dimenticare”. Dopo le lunghe prediche finalmente ci addormentammo abbracciati.

S.M. Cosa è successo da quel momento? Come è cambiata la tua vita dopo l’ originale “approccio” con Giovanni Falcone e soprattutto la tua ferma presa di posizione nei confronti di Cosa Nostra?

G.C Neanche a dirlo, non passò molto tempo che la notizia del mio desiderio di giustizia giunse in paese. In quel momento molti amici e conoscenti cominciarono a prendere le distanze da me. Non me lo dicevano apertamente, ma percepivo il messaggio. Mi dicevano tutte le scuse per non uscire con me, per paura. Del resto io ero il ribelle senza limiti e avevo quasi tutti contro per i miei attacchi ad alcuni personaggi noti.

 Per rispondere alla domanda, ti dico che cominciai a fare ricerche e denunce, perche mi venivano negati anche i diritti più elementari, ovvero quello di lavorare presso il comune,di S Giovanni Gemini.

Mi venne negato tutto! Anzi, per indurmi al silenzio, si presentarono da mia madre alcuni politici locali che cercavano di fare leva sulla sua “debolezza ” se tuo figlio si accorcia la lingua avrà tutto; se continua cosi sarà solo un fallito nella vita”. Ecco cosa le dissero!

 Mamma cercava di farmi capire che dovevo frenare i miei istinti contro queste persone, perchè era certa che il mio futuro dipendesse da questa gentaglia, ma io non avevo la minima intenzione di abbassa la testa ” posso continuare a lavorare senza bisogno di loro e senza posto al comune” replicai.

La loro prepotenza fece scattare in me una rabbia e una voglia di giustizia ancora maggiore, così decisi di scrivere al Ministero di grazia e giustizia , per spiegare per le malefatte del comune.

S.M. In che senso? Di quali ,malefatte parli?

G.C . Tanto per cominciare, anche i funerali del boss erano stati pagati con i soldi del comune. Avevano dichiarato lutto cittadino per il boss Gigino Pizzuto! Fu così che arrivò nel 1990 il comune venne sciolto per infiltrazioni mafiose. Io intanto avevo vinto un concorso presso la ex Usl , grazie ai titoli che avevo allegato.

Un giorno mi arrivò una chiamata dalla caserma per una notifica, in cui mi si chiedeva di presentarmi presso il tribunale di Palermo, per la chiusura delle indagini.

 Poiché era stato istruito il processo, mi sarei dovuto cercare un avvocato per la costituirmi parte civile contro 114 imputati per la strage di San Giovanni Gemini. Si trattava di nomi eccellenti, c’era tutta la cupola.

S.M. Insomma le cose stavano per mettersi dal verso giusto.

G.C. Neanche per idea! Qualcosa nel processo si stava inceppando e dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta non emergevano gli esecutori materiali della strage . Il boss disse che sapeva solo chi fossero i mandanti e così tutti furono assolti.

 Ero avvilito,mi sentivo sconfitto! Bisognava ricominciare da zero.

 Nel maggio 1992, ero in macchina con un mio amico carabiniere saranno state le 17,30 alla radio diedero la notizia 23 maggio, “attentato al giudice Falcone,” gli chiesi di fermarsi.

 Scesi dalla macchina perché mi girava la testa e rividi quella scena della carezza.

Mi sentivo come se per la seconda volta il mondo mi fosse crollato addosso. Urali “non può finire cosi,” Il 19 luglio 92 arrivò il secondo attentato, questa volta contro Paolo Borsellino.

 Nel 2001 saltò fuori un nuovo pentito. Si chiamava Nino Giuffrè. Lui riempì pagine di verbali parlando dello spessore di Gigino Pizzuto.Fu allora che presentai istanza presso il tribunale di Palermo. Volevo assolutamente approfondire le circostanze dell’eccidio. In seguito Vara, l’autista dei killer, ammise che durante il dopo averli prelevati li condusse in un posto sicuro dove improvvisarono una spaghettata. Aggiunse pure che durante il prelevamento, uno di loro aveva confidato che erano morte altre persone estranee ma “quando si spara, si spara” ( cosa ribadita anche durante il processo. Provenzano, uomo ben più temibile di Riina, li aveva istruiti nella linea del terrore)

  • Tengo a precisare che un prete locale cercò di depistare i fatti parlando in un giornale il “paese” diretto proprio da un certo don Totò Traina, il quale indicava che l’ omicidio era legato al traffico di bestiame. Si trattava solo adi falsità, perche a casa mia non ho mai visto bestiame ne mucche e ne cavalli Il prete dissi queste cose pure durante un’intervista radiofonica e fu così che decisi di diffidarlo su consiglio del mio avvocato . Addirittura disse che mio padre era stato colpito volutamente dai killer , cosa smentita dagli esami balistici.

Il processo venne istituito nel 2008 e La Corte d’Assise di Agrigento condannò Bernardo Provenzano, e Salvatore Riina all’ ergastolo, mentre Pippo Calò( imputato pure in questo procedimento) fu assolto.

La condanna fu poi conferma nel 2010 in appello, per poi diventare definitiva.

S.M. Giuseppe si può dire che grazia alla tua tenacia, hai ottenuto delle soddisfazioni, non solo personali, ma anche collettive. La tua battaglia è servita infatti a mantenere alta l’attenzione ed aiutare altre persone che come te hanno vissuto esperienze simili. Cosa hai fatto per raggiungere i tuoi obiettivi?

G.C. Nel corso di questi anni ho cercato tantissimi familiari delle vittime di mafia, ne ho conosciuto un infinità. Abbiamo lottato assieme, tanti sembravano abbandonati e sentivo in loro il senso di scoramento dettato dalla paura avvolte o dall’ incapacità di reagire. Li ho amati tutti come fratelli. Nel 2007, assieme a Sonia Alfano ed altri familiari delle vittime, abbiamo dato vita ad una protesta davanti alla prefettura di Palermo, chiedendo al governo i nostri diritti . Forse non tutti sanno che la legge fa delle distinzioni, anzi delle discriminazioni fra vittime del terrorismo e della criminalità , in cui si evidenziano vittime di serie a e vittime di serie b. Per lo Stato, chi muore in Sicilia deve essere abbandonato e addirittura deve affrontare le spese processuali .

Voglio sottolineare che “nessuna cifra mai potrà sanare il danno ricevuto e le pene patite”,  ma a prescindere, è dovere di uno stato democratico quello di non fare differenze.

 Io ho fatto tutto nella mia vita con amore ,affinche gli altri familiari delle vittime non patissero ciò che ho patito io. Ho affrontato tantissime umiliazioni , ogni sorta di discriminazione, e l’abbandono e a dire il vero ho avuto la forza di ringraziare anche chi mi ha fatto male nella mia vita, perche mi ha reso più forte. Ho ringraziato tutti, anche quelli che mi hanno chiuso la porta in faccia dandomi del rivoluzionario, ma oggi sono qua e cammino a testa alta.

Nel 2001 per volontà di un’amministrazione locale è nata una piazza dedicata a mio padre e al sig Vincenzo Romano. Non ho voluto sfilate di politici ma semplicemente uomini delle istituzioni.

Quest’ anno poi, con alcuni familiari delle vittime abbiamo dato vita ad una altra protesta, per la causa di Milly Giaccone, davanti alla presidenza della regione Sicilia. Siamo rimasti sconcertati nel vedere l’indifferenza davanti alle richieste che portavamo.

Questo mi induce a pensare che l’antimafia sbandierata dal presidente sia solo una lotta fatta a parole . E a noi non serve! Piu volte ha disertato gli incontri fissati. Gli avevo pure chiesto di fare un gesto simbolico e ricevere le vittime di mafia nella sede della regione ,ma non ha mai risposto. Abbiamo assistito solo a pavidi silenzi che hanno il sapore di omertà. Il 3 luglio 2013 siamo stati invitati a Roma presso il ministero degli interni, da sottosegretario Filippo Bubbico, che ha ascoltato le nostre proposte. Gli avevamo chiesto di apportare delle modifiche ad alcune leggi,e dare il giusto riconoscimento alle vittime innocenti .

Io credo nelle battaglie e continuerò a farle sempre, con tutto me stesso perchè solo chi ha patito le pene dell’ inferno può capire il dolore profondo. Noi lottiamo sempre per dare un volto alla nostra terra di Sicilia affinchè non si parli più di mafia e di morti, ma una terra che ha dato i vitali a grandi scrittori, come Verga, Pirandello ecc ecc, iniziando da Giovanni Falcone, e Paolo Borsellino, tutti i caduti per la lotta alla mafia.

di Simona Mazza

foto: sicanianews.altervista.org

 

 

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